Se venisse approvato sarebbero vanificati 40 anni di lotta contro la sperimentazione animale che hanno visto il nostro Paese tra i più evoluti in Europa in materia di tutela animale.
Le peggiori richieste delle lobby farmaceutiche sono state accolte nel silenzio complice dei parlamentari.
Si pongono le basi per recepire la direttiva europea per l’utilizzo di animali a fini scientifici cancellando le tutele specifiche previste in Italia e così “controproducenti” per le lobby e Big Pharma.
In materia di uso degli animali ai fini scientifici, è stata contestata all’Italia la non completa conformità del decreto legislativo 4 marzo 2014, n.26 ai dettami della Direttiva 2010/63/UE, il cui recepimento in toto darebbe il via alle peggiori aberrazioni e atrocità consentendo anche la riaperture degli allevamenti di animali da laboratorio in Italia e la sperimentazione su animali randagi. Quindi i nostri cani e gatti randagi attualmente movimentati dalle strade, rifugi e canili verso i laboratori di sperimentazione europei potranno evitarsi i lunghi tragitti rimanendo comodamente sul territorio nazionale.
Abbiamo chiesto a Candida Nastrucci (DPhil, CBiol, MRSB) Member of the Board of EUSAAT (European Society for Alternatives to Animal Testing) il suo punto di vista su questa grave notizia in materia di antivivisezione.
“Recentemente è uscita una notizia gravissima, che mette a repentaglio i minimi progressi fatti verso una Ricerca Senza Animali in Italia sino ad oggi. Infatti dal sito del Senato della Repubblica si scopre che è stato dato parere favorevole unanime (1) di “recepire in toto” da parte dell’Italia la Direttiva 2010/63/EU (2) “sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici” (non è un Regolamento) eliminando quindi tutti i piccoli miglioramenti che si trovano nella nostra legge di recepimento del 4 marzo n.26 del 2014 (3), e senza apportare nessun miglioramento.
Per esempio, per il recepimento italiano, un miglioramento avrebbe potuto essere quello di specificare che “in una prospettiva di equilibrio tra le esigenze” vi sia l’obbligo di disporre di finanziamenti uguali per la Ricerca Senza Animali e che utilizza metodi di Replacement (1R di Sostituzione), e per la ricerca che usa animali, invece di normare un finanziamento annuale per le 3R (Riduzione, Raffinamento e Sostituzione) di soltanto 1 milione di euro in Italia destinato agli Istituti Zooprofilattici.
Invece la situazione non è questa.
Il testo del “Parere Approvato dalla 12ª Commissione permanente – Resoconto sommario n. 61 del 12/03/2019” dice testualmente (2): “La 12a Commissione, esaminata, per quanto di competenza, la Relazione programmatica sulla partecipazione dell’Italia all’Unione europea per l’anno 2019; visto, in particolare, il capitolo XIII, che enumera gli interventi programmati nel settore della tutela della salute, segnatamente in tema di: prevenzione e programmazione sanitaria; sicurezza alimentare; sanità animale e farmaci veterinari; uso degli animali ai fini di ricerca; farmaci, dispositivi medici, diagnostici in vitro; sanità elettronica; ricerca sanitaria; esprime, sui profili di propria competenza, parere favorevole, con la seguente osservazione: “poiché, in materia di uso degli animali ai fini scientifici, è stata contestata all’Italia la non completa conformità del decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 26 ai dettami della direttiva 2010/63/UE, si valuti l’opportunità di adottare iniziative per recepire in toto la predetta direttiva, così da: a) evitare sanzioni all’esito della procedura di infrazione n. 2016/2013, già da tempo avviata; b) promuovere la ricerca alternativa e implementare le misure alternative alla sperimentazione sugli animali, nel rispetto della normativa europea e in una prospettiva di equilibrio tra le esigenze della ricerca scientifica e quelle della protezione degli animali”.
CHE RILEVANZA HA? VUOLE CANCELLARE I PICCOLI MIGLIORAMENTI ALLA TUTELA DEGLI ANIMALI NEL NOSTRO RECEPIMENTO ITALIANO D.LGS 26 DEL 2014 RISPETTO ALLA DIRETTIVA 63/2010/EU.
Se si recepisse “in toto”, tra i vari PASSI INDIETRO sarebbe possibile anche:
1- Allevare cani, gatti e primati non umani per la sperimentazione animale in Italia, perché sarebbe cancellato l’Art 10 comma 5 che dice: “È vietato l’allevamento di cani, gatti e primati non umani per le finalità di cui al presente decreto”. (Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n.26) (3).
2- Autorizzare in deroga l’utilizzi per la sperimentazione “animali randagi e selvatici delle specie domestiche” ovvero anche cani e gatti randagi, approvando l’Art 11 Direttiva 63/2010/EU e cancellando l’Art.11 de lD.Lgs 26 del 2014 “Animali randagi e selvatici delle specie domestiche, cani, gatti 1. È vietato l’impiego nelle procedure di animali randagi o provenienti da canili o rifugi, nonché di animali selvatici delle specie domestiche”.
3- Le procedure senza anestesia causanti dolore intenso sarebbero possibili, perché l’Art 14 del D.gls. 26 del 2014 sarebbe cancellato: “Anestesia 1. Sono vietate le procedure che non prevedono anestesia o analgesia, qualora esse causano dolore intenso a seguito di gravi lesioni all’animale, ad eccezione delle procedure per la sperimentazione di anestetici ed analgesici”.
4- Secondo l’Art 5 Comma 2 del D.lgs. 26 del 2014: “Non possono essere autorizzate le procedure:
a) per la produzione e il controllo di materiale bellico;
b) per i test tossicologici con i protocolli della Lethal Dose – LD50 e della LethalConcentration – LC50, tranne i casi in cui risulti obbligatorio da legislazioni o farmacopee nazionali o internazionali;
c) per la produzione di anticorpi monoclonali tramite l’induzione dell’ascite, qualora esistano corrispondenti altri metodi di produzione e non risulti obbligatorio da legislazioni o farmacopee nazionali o internazionali;
d) per le ricerche sugli xenotrapianti di cui all’articolo 3, comma 1, lettera q);
e) per le ricerche sulle sostanze d’abuso;
f) nel corso delle esercitazioni didattiche svolte nelle scuole primarie, secondarie e nei corsi universitari, ad eccezione della formazione universitaria in medicina veterinaria nonché dell’alta formazione universitaria dei medici e dei medici veterinari.
Se l’articolo 5 comma 2 fosse cancellato tutte queste sperimentazioni si potrebbero di nuovo effettuare in Italia!
Si fa notare inoltre che a tutt’oggi si recepisce in toto l’Articolo 9 della Direttiva 63/2010/EU (attualmente in vigore) e questo ha gravi implicazioni anche sulle norme che regolano l’ambiente e la protezione della fauna selvatica italiana.
“Animali prelevati allo stato selvatico
1. Gli animali prelevati allo stato selvatico non possono essere usati nelle procedure.
2. Le autorità competenti possono concedere deroghe al paragrafo 1 se scientificamente provato che è impossibile raggiungere lo scopo desiderato utilizzando un animale allevato per essere utilizzato nelle procedure.
3. La cattura di animali allo stato selvatico è effettuata esclusivamente da una persona competente con metodi che non causino inutilmente dolore, sofferenza, angoscia o danno prolungato agli animali.
Qualsiasi animale venga ritrovato ferito o in salute precaria o lo diventi dopo la cattura è esaminato da un veterinario o altra persona competente, e sono adottate misure per limitare il più possibile la sofferenza dell’animale. Le autorità competenti possono concedere deroghe dall’obbligo di intervenire per limitare la sofferenza dell’animale se ciò è giustificato da considerazioni scientifiche”.
COSA SUCCEDEREBBE SE NON VENISSE FERMATO QUESTO ADEGUAMENTO?
– Si tornerebbero ad allevare cani, gatti e primati non umani in Italia.
– Si potrebbero usare cani e gatti randagi per la sperimentazione.
– Si potrebbero usare animali per prelevamento di organi da vivi e di effettuare xanotrapianti, ovvero rimozioni di organi da animali vivi e trapianti in altri animali di altre specie.
– L’anestesia non sarebbe più obbligatoria in tutti i casi.
Ed anche altri punti ed implicazioni più lunghe e complesse.
INOLTRE con uno stratagemma abile di linguaggio si dichiara di “promuovere la ricerca alternativa” e “implementare le misure alternative” “in una prospettiva di equilibrio tra le esigenze della ricerca scientifica e quelle della protezione degli animali” trascurando due particolari tecnici non tanto irrilevanti: 1) che le esigenze della ricerca li decide il ricercatore argomentando lo scopo della ricerca, quindi sono soggettive e qualsiasi curiosità scientifica soddisfatta o necessità di pubblicazione, potrebbe definirsi una “esigenza”, 2) non si tratta invece di una “esigenza” la vera “protezione degli animali” ma un obbligo, perché in realtà ogni animale alla fine delle procedure viene ucciso, come illustrato nei metodi di uccisione presenti anche dalla direttiva, e nel suo recepimento, quindi la “protezione” è relativa, e si riferisce soltanto al periodo in cui l’animale viene usato durante l’esperimento, e che ha sempre come fine la morte dell’animale usato, e quindi non si può dire che l’animale sia stato protetto dall’esperimento perché questo ha portato alla sua morte.
Per concludere il fatto è che sarebbe un enorme passo indietro per la Ricerca Senza Animali e per superare il modello di ricerca basato sulla sperimentazione animale e sostituirlo con alternative e metodi di ricerca avanzati. Inoltre non si spingerebbe a motivare, chi fa questo tipo di ricerca, a trovare nuovi metodi e tecnologie senza uso di animali, o le alternative sostitutive per i modelli in ambito regolatorio, e negli investimenti per investire nello sviluppo e nell’uso di alternative e di metodi senza animali o nell’utilizzo di quelli già esistenti, e tutto ciò completamente contro il principio di voler superare la sperimentazione animale, contenuto come obiettivo nella Direttiva 63/2010/EU e nelle intenzioni delle società progredite.
In aggiunta alla luce dei costanti, e solo minimamente ridotti, ultimi “dati relativi al numero di animali usati ai fini scientifici per l’anno 2017” (G.U. Serie Generale , n.28 del 02 febbraio 2019) che si trovano sul sito web del Ministero della Salute (4) risulta che il “numero di animali” utilizzati nel 2017, e quindi uccisi alla fine degli esperimenti, è stato 575.352 animali per 580.073 “utilizzi”. Nel 2016 invece erano stati usati 606.676 animali per 611.707 “utilizzi” e quelli del 2015 erano 581.935 “animali” per 586.699 “utilizzi”. La riduzione del numero di animali utilizzati (e riportati) tra il 2017 e il 2016 è pari al 5% e tra il 2017 e il 2015 del 1,8%, riduzioni annuali minime e indice che in Italia non si stanno facendo progressi significativi nella sostituzione della sperimentazione animale con metodi di ricerca avanzati senza animali, che si basano ad esempio su tessuti e dati umani umani.
Alla luce di questo fallimento dell’attuale Decreto Legislativo almeno nel ridurre significativamente l’uso di animali, si conclude che tornare ancora indietro sarebbe un altro enorme errore, che porterebbe sicuramente ad un aumento del numero di animali utilizzati in Italia per la sperimentazione animale e quindi contro il fine della Direttiva stessa.
Dal punto di vista legislativo ed economico le procedure di infrazione dello Stato Italiano verso l’EU sono numerose e attualmente “Il numero delle procedure a carico del nostro Paese sale a 74, di cui 64 per violazione del diritto dell’Unione e 10 per mancato recepimento di direttive (5)”. Non sarà quindi certo una procedura di infrazione, riguardante criteri leggermente più stringenti sulla sperimentazione animale rispetto all’EU, e quindi più evoluti, a mandare in bancarotta l’Italia.
Si potrebbe scegliere invece come politica del progresso di NON infrangere le Direttive EU migliorative, e per cui già è presente un giudizio (6) e di infrangere le Direttive EU che invece peggiorerebbero gli standard italiani. Scegliere di INFRANGERE QUESTA Direttiva 2010/63/EU, con un fine che porta ad un miglioramento umano, scientifico ed economico dell’Italia, che ha contribuito anche se di poco a ridurre il numero di animali usati in Italia, e che comporta un piccolo esempio migliorativo con standard più stringenti sia per qualità della ricerca che per benessere animale, sarebbe un piccolo passo avanti verso la civiltà, mentre scegliere di cedere a standard più bassi del nostro Paese sarebbe un segno di debolezza e di regressione, ma soprattutto un’enorme ingiustizia, sia etica che scientifica.
Dr. Candida Nastrucci (DPhil)
21.03.2019
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