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Per non dimenticare – i "padri" della lotta alla vivisezione

Giu 29, 2009 | Vivisezione

A memoria nella storia umana è importante affinché gli sbagli del passato non siano ripetuti e quanto di buono hanno fatto i nostri predecessori non vada perduto.
Questa regola vale anche per il movimento antivivisezionista che non deve mai dimenticare i propri “padri”, ossia quanti con coraggio, che a volte rasentava l’incoscienza, hanno per primi contestato l’orrore e l’errore della vivisezione.
Due persone mi sono immensamente care e dovrebbero esserlo anche per tutti i soci della LEAL: Kim Buti e Pietro Croce.
Kim Buti è stato il fondatore della nostra associazione alla fine degli anni settanta del secolo scorso. Dopo essere stato per anni consigliere dell’Unione Antivivisezionista Italiana (UAI), decise di uscirne per fondare un’associazione più dinamica e realmente abolizionista. Gli inizi non furono semplici perché a quei tempi essere antivivisezionisti era considerata una vera e propria bizzarria, ammesso che qualcuno sapesse cos’era veramente la vivisezione. I soldi delle offerte erano pochissimi e gli attivisti quasi zero. Così Kim Buti iniziò personalmente a tenere tavoli informativi in centro a Milano per conto della Lega Antivivisezionista Lombarda, perché questo era il nome originario della LEAL. Lentamente, ma costantemente, l’associazione crebbe e con essa la conoscenza della vivisezione tra l’opinione pubblica. Per poter portare avanti la LEAL in maniera più efficace Buti non esitò a chiudere la sua attività commerciale per dedicarsi all’associazione a tempo pieno, in cambio di un modestissimo stipendio che si concesse ma che, alla sua morte, si scoprì non avere ritirato nemmeno una volta. Buti fu anche il primo in Italia che parlò di Metodi Sostitutivi la vivisezione e per questo non esitò anche ad incontrare alcuni vivisettori per cercare di trovare spiragli concreti e in tempi rapidi per ottenere, se non l’abolizione immediata della vivisezione, almeno una diminuzione del numero degli animali impiegati.
Un giorno ebbi la fortuna di incontrare Kim Buti nello scantinato della prima sede della LEAL in Via Cavalcanti 1 a Milano: quel giorno e quell’incontro diedero una svolta alla mia vita. Buti mi regalò una copia di “Imperatrice nuda”, il libro di Hans Ruesch che per primo denunciò la crudeltà e l’assurdità scientifica della vivisezione. Lo lessi tutto di un fiato in una sola giornata e la rabbia e l’amarezza che mi provocò, a distanza di oltre un quarto di secolo, mi ha accompagnato fino ad oggi. Decisi allora che non potevo fare finta di non sapere cosa accadeva nei laboratori di vivisezione e questa decisione cerco di portarla avanti ancora ogni giorno.
Senza Buti, però, probabilmente tutto questo non sarebbe accaduto, non avrei mai conosciuto gli orrori della vivisezione, non sarei mai diventato vegetariano, non avrei conosciuto le tesi dei filosofi per i diritti degli animali e non avrei mai conosciuto Pietro Croce.
Nel momento che sto scrivendo mancano pochi giorni al 16 ottobre, ma quando leggerete quest’articolo sarà da tempo passato. Questa data per molti non dirà nulla, ma nel 2006 proprio il 16 ottobre moriva il professor Pietro Croce. Su di lui già due anni fa scrissi un articolo per ricordarlo, ma per fortuna ogni anno la LEAL ha nuovi soci e nuove persone che si accostano al tema della vivisezione e quindi credo sia doveroso parlare ancora di lui.
Il professor Croce è stato un medico e un ricercatore con un curriculum importante. Aveva lavorato negli Stati Uniti, esattamente nel Dipartimento di ricerche del National Jewish Hospital della Colorado University di Danver e nel Laboratorio e Dipartimento di Ricerche del Toledo Hospital nell’Ohio. Dal 1952 al 1982 è stato primario del Laboratorio di analisi chimico-cliniche di Microbiologia e di Anatomia Patologica dell’Ospedale Sacco di Milano, nonché Libero docente dell’Università di Milano e membro del College of American Pathologists.
Tra i tanti meriti del professor Croce, due spiccano su tutti: fu per molti anni lui stesso un vivisettore e da solo arrivò alla conclusione che le sue ricerche sugli animali non avevano alcun senso scientifico. È stato, inoltre, il primo a porre le basi teoriche proprio dell’antivivisezionismo scientifico e il primo a definire la vivisezione un “errore metodologico”. Il seguente testo, tratto dal suo libro “Vivisezione o scienza”, pubblicato da Calderini Edagricole, riassume questi due grandissimi meriti.
“Ho eseguito esperimenti sugli animali per molti anni. – afferma il professor Croce – Obbedivo ad un’ammuffita logica positivista che m’era stata imposta durante gli studi universitari e che a lungo mi ha condizionato negli anni successivi.
“Il positivismo scientifico”: la sola logica possibile nella ricerca medico-biologica.
Ma già il sostenere che il pensiero umano possa avere una “sola logica possibile” equivale ad ammettere l’incapacità di guardare in più d’una direzione.
Con la mente affollata di nozioni apprese ex cathedra, dai libri, dalla pratica in ospedali italiani ed esteri, cercavo di dare un ordina al mio pensiero, mi sforzavo di disporre su un filo logico le mie convinzioni, ma era come cercar di comporre le figure di un puzzle uscito difettoso dalla fabbrica: le tessere non si combinavano tra loro; ne uscivano figure sbilenche, separate da vuoti incolmabili, in un incastro che alla minima scossa si sfasciava sparpagliandosi in un ordine caotico.
Mi dissi allora: – Ci deve essere qualcosa di sbagliato nel mio pensiero e nella pratica medica.
E questo qualcosa dev’essere fondamentale ed elementare al tempo stesso: capace di minare tutto alla base e di vanificare ciò che gli consegue. Un errore metodologico, dunque”. E questo errore metodologico per il professor Croce è proprio la vivisezione o, come la preferiscono chiamare i suoi fautori con un termine più edulcorato, ma che non cambia la sostanza della questione, la sperimentazione animale.
Si sa che le persone che ammiriamo, ma non conosciamo direttamente, quando le incontriamo, spesso, si dimostrano molto diverse da come le immaginavamo: per il professor Croce non fu così.
Era circa a metà degli anni ottanta e allora ero uno studente di Medicina, abituato a conoscere professori universitari pomposi, arroganti, per niente interessati alle persone (e tanto meno ai pazienti), ma solo alla loro carriera, pieni solo della loro miseria umana, quando una sera in un salone di una bellissima villa di Ebe Dalle Fabbriche, fondatrice del Movimento Uomo, Natura, Animali (UNA), conobbi il professor Croce. Gentile, pacato, interessato a quanto dicevo io, giovane studente di Medicina, insomma il contrario di quanto ero abituato a vedere in Università tutti i giorni. Senza sminuire gli importanti insegnamenti scientifici, a me piace ricordare più di tutto il professor Croce per l’incontro di quella sera.
Oggi Kim Buti e Pietro Croce non sono più tra noi, così come molte donne e uomini che hanno messo nella loro vita impegno, passione, tempo e fatica per la costruzione di un mondo migliore, più giusto e più umano. Noi tutti abbiamo il dovere morale di non sprecare il patrimonio che ci hanno lasciato e lo possiamo fare in un unico modo: continuare ogni giorno il loro impegno con decisione e passione.
Avere conosciuto Kim Buti e Pietro Croce è stata per me una gran fortuna, ma, più di tutto, sono convinto che il loro esempio mi abbia reso una persona migliore.
Stefano Cagno