Con la recentissima pubblicazione del report “metodi non-animali avanzati per lo studio delle malattie autoimmuni”, la serie di raccolte “Metodi avanzati non-animali per la ricerca biomedica” pubblicata dal Centro Comune di Ricerca (JRC) della Commissione Europea è ora completa. Questa serie di pubblicazioni comprende una raccolta dei più recenti metodi avanzati basati sulla biologia umana riguardanti malattie cardiovascolari, respiratorie, neurodegenerative, cancro al seno, immuno-oncologia e prodotti medicinali per terapie avanzate.
La prevalenza delle malattie autoimmuni è in aumento in tutto il mondo. Sebbene esistano alcuni trattamenti per gestire i sintomi, mancano opzioni efficaci per arrestare e/o invertire la progressione della maggior parte di queste malattie, che di fatto rimangono incurabili, nonostante i grandi investimenti nella ricerca biomedica ad esse dedicata.
Ciò è dovuto almeno in buona parte al fatto che le cause ed i meccanismi di queste patologie, sono difficili da identificare poiché includono un mix di fattori genetici, ambientali e riguardanti lo stile di vita e che spesso vengono studiati in modelli animali che non sono in grado di replicare adeguatamente le complesse interazioni biologiche in gioco in queste malattie multifattoriali, le cui caratteristiche cliniche sono estremamente eterogenee. Finora i modelli animali, soprattutto topi e ratti, sono stati i modelli più utilizzati per sondare i meccanismi di malattia e testare le strategie terapeutiche.
Tuttavia esistono numerose differenze tra il sistema immunitario dell’uomo e quello dei roditori. La complessità del sistema immunitario umano e la natura idiopatica della maggior parte di queste malattie, ostacola la modellazione “bona fides” della patologia negli animali, a causa delle profonde differenze genetiche ed epigenetiche tra le diverse specie. Nonostante ciò esistono diversi modelli animali, spesso utilizzati per studiare differenti aspetti di una singola malattia in modo meccanicistico.
I metodi alternativi basati sulla biologia umana rappresentano potenzialmente opzioni più efficienti per chiarire i meccanismi di malattia e scoprire potenziali bersagli farmacologici.
Questo studio del JRC è stato quindi condotto per revisionare in modo sistematico i modelli non animali impiegati nel campo della ricerca sulle malattie autoimmuni basandosi sulla letteratura scientifica pubblicata tra il 2014 ed il 2019.
In questo modo sono stati identificati e descritti un totale di 183 modelli avanzati. Un’osservazione degna di nota, segnalano gli autori, è il forte aumento del numero di articoli che impiegano metodi avanzati tra il 2016 e il 2018, rispetto al periodo 2014-2015. La maggior parte di questi modelli si basa sull’uso di cellule umane, incluse le cellule staminali. Il sistema immunitario umano su chip è un esempio di strumento innovativo per studiare l’attività del sistema immunitario con una precisione senza precedenti.
Alla fine del 2019 è stato avviato un grande progetto europeo finanziato dall’ “Innovative Medicines Initiative” con l’obiettivo di studiare i meccanismi comuni fondamentali delle malattie autoimmuni, utilizzando dati del mondo reale, derivanti dai pazienti.
Secondo gli autori, questo progetto apre una nuova era per la modellazione in human-based e in silico dell’autoimmunità. Tuttavia, qualsiasi risultato fornito da questo progetto dovrebbe anche passare attraverso studi preclinici, poiché l’attuazione di studi clinici è molto costosa ed è necessario che la comunità scientifica comprenda il meccanismo molecolare sottostante le malattie. In questo contesto, i modelli in vitro avanzati e rilevanti per l’uomo potrebbero rappresentare un’interessante piattaforma per testare le ipotesi cliniche.
Otero, M.J., Canals, J.M., Belio-Mairal, P., Nic, M., Dibusz, K., Novotny, T., Busquet, F., Rossi, R., Gastaldello, A., Gribaldo, L. and Straccia, M., Advanced Non-animal Models in Biomedical Research – Autoimmune Diseases, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2022, doi:10.2760/617688, JRC131505.
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La principale giustificazione alla base dell’utilizzo degli organismi modello è che questi hanno in comune con noi un’alta percentuale di geni. E’ vero che i topi condividono con noi circa il 90% dei geni. Ma ciò è veramente sufficiente a giustificare l’utilizzo di questi (ed altri) animali quali modelli per studiare le malattie umane e testare i farmaci?
Con il sequenziamento dei genomi e gli sviluppi delle tecniche di sequenziamento ad alto rendimento, nei campi dell’epigenetica e della genomica, si è verificata una rivoluzione nella concezione della biologia, passando da una visione unidirezionale e limitata dettata dal così detto “dogma centrale della biologia molecolare” dove la sequenza dei nostri geni determinava in gran parte chi siamo e come rispondiamo, ad una visione più globale dei sistemi viventi, che vede quali attori non più solo i singoli geni, ma interi sistemi di reti di geni,interagenti in modo dinamicotra loro e con l’ambiente circostante. Lo sviluppo e il funzionamento di un organismo, il suo stato di salute o di malattia non dipendono cioè solo dalla sequenza di geni nel suo DNA, ma anche e soprattutto da stimoli che agiscono sulla architettura della doppia elica e sull’accensione e lo spegnimento di questi geni, senza modificarne le sequenze.A questo insieme di processi è stato dato il nome di “epigenetica”. Lo stesso gene inserito in un contesto può comportarsi in modo completamente differente quando si trova in un contesto diverso! Solo una piccola percentuale del DNA (circa il 2%) codifica per proteine, mentre il restante 98%, quello che un tempo veniva chiamato “DNA spazzatura” poiché non se ne conosceva ancora la funzione, è deputato a processi di regolazione dell’accensione e spegnimento di geni.
Alla luce di ciò, si comprende quanto sia superficiale e fuorviante giustificare la presunta similitudine tra organismi modello e pazienti umani basandosi sulle percentuali di geni condivisi.
Un importante studio pubblicato nel 2013 sulla rivista scientifica internazionale PNAS dimostra che le risposte genomiche verso gli stress infiammatori acuti di diverse origini (trauma, ustioni, sepsi) differiscono significativamente tra topi ed esseri umani. Questo significa in parole semplici, che ad esempio i geni che si “accendono” nell’essere umano dopo specifici insulti infiammatori, vengono invece “spenti” nei topi, e viceversa. Ciò ha ovviamente importanti conseguenze e ripercussioni sulle risposte a malattie e farmaci, considerando che l’infiammazione è un elemento presente in moltissime patologie, da quelle cardiovascolari al cancro.
Alla luce delle nuove conoscenze si comprende anche che inserire dei geni umani in un topo per cercare di rendere il topo “più simile” all’uomo, o eliminare un gene nel modello animale sperando così di replicare una malattia tipicamente umana, non ha molto senso dal punto di vista scientifico.
Pensiamo anche all’assurdo di quando l’uso dell’animale in questione viene rivendicato per la sua presunta capacità – rispetto ai sistemi in vitro – di rappresentare la complessità di un organismo intero, quasi al pari di un piccolo paziente peloso.
Credere a questo significherebbe non tenere conto delle nuove conoscenze e rimanere ancorati ad una visione parcellizzata e riduzionista della biologia, che vede i viventi semplicemente come la somma di più parti separate, piuttosto che come un essere complesso.
E’ vero che anche i metodi in vitro soffrono ancora di questi problemi ma è anche vero che mentre la biologia del topo non si può cambiare ed un topo rimarrà sempre tale, i sistemi in vitro ed in silico, nonché le tecnologie al servizio di tali approcci, sono in rapido e continuo progresso, offrendo sempre più opportunità per una ricerca scientifica etica ed al passo con i tempi.
Non dobbiamo inoltre dimenticare che questi modelli innovativi possono e dovrebbero sempre essere integrati con gli studi non invasivi sui pazienti, che oggi più che mai sono realizzabili grazie al continuo progresso nelle nuove tecnologie.
Manuela Cassotta Biologa, medical writer
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Siamo oggi di fronte all’evidenza che la ricerca basata su modelli animali non costituisce un problema soltanto di ordine etico-animalista ma anche scientifico e metodologico. Sempre più studi pubblicati su riviste scientifiche internazionali mettono infatti in discussione l’affidabilità e la rilevanza dei modelli animali quali modelli per studiare le malattie umane e la risposta ai farmaci o agli agenti tossici. Un numero crescente di scienziati, consapevole dei pericoli derivanti dal sovra affidamento ai modelli animali, sta lavorando per il superamento della sperimentazione animale e lo sviluppo / applicazione dei metodi human-based, spingendo verso un vero e proprio cambio di paradigma nella ricerca biomedica.
Secondo il National Insitute of Health statunitense, le percentuali di fallimento dei potenziali farmaci che, passate le fasi precliniche (in vitro ed in vivo, su animali), non riescono a superare le fasi cliniche (su volontari umani) si attestano intorno al 95%.
Percentuali ancora più alte di insuccesso si riscontrano in ambito oncologico (95-100%) e nelle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer (99,6%), ecc.
“I modelli animali sono limitati nella loro capacità di modellare la complessità dei tumori umani. Pertanto la sicurezza e l’efficacia dei potenziali farmaci testati sugli animali non sono generalmente trasferibili all’uomo e tradotte in benefici per i pazienti” (Am J Transl Res 2014 Jan 15;6(2):114-8).
“Nonostante decenni di ricerca su modelli animali, l’Alzheimer rimane una patologia scarsamente compresa e per cui non esiste una cura efficace. Sosteniamo la necessità di spostare il focus della ricerca dai modelli animali a modelli basati sulla biologia umana per ottenere risultati concreti che giovino ai pazienti. L’implementazione di tali modelli può accelerare lo sviluppo di strategie migliorate per prevenire, rilevare, migliorare e possibilmente curare questa malattia devastante” (ALTEX 2014;31(3):279-302).
Anche per altre malattie purtroppo la situazione non è migliore e la maggior parte dei farmaci che funzionano bene negli animali non sono utili a curare i pazienti. I modelli animali per le reazioni infiammatorie legate a sepsi, ustioni, traumi, i modelli di diabete, per lo studio delle dipendenze, i modelli transgenici per lo studio delle malattie cardiovascolari, si sono dimostrati ad esempio poco utili a comprendere queste condizioni umane, quindi a prevenirle e curarle.
“Negli ultimi tre decenni, i modelli murini di diabete di tipo 2 hanno prodotto oltre 50 pubblicazioni al mese; tuttavia, molti dettagli sulla patogenesi del diabete umano rimangono poco chiari, ostacolandone la prevenzione. Questa review indaga le ragioni di questa discrepanza traslazionale analizzando le prove sperimentali sui modelli murini di diabete di tipo 2. L’analisi ha rivelato differenze significative specie-specifiche ad ogni livello di regolazione del glucosio, dall’espressione genica / proteica, dalla segnalazione cellulare, al tessuto e dall’organo fino all’organismo intero, se confrontata con i dati acquisiti usando cellule, tessuti, organi e popolazioni umane. Data l’ampia barriera interspecifica che crea un divario traslazionale immutabile, è urgentemente necessario impiegare e sviluppare ulteriormente strategie di ricerca basate sulla biologia umana per poter progredire nella ricerca sul diabete di tipo 2”
Le cause principali di fallimento durante le fasi di sperimentazione dei farmaci sugli esseri umani sono l’inefficacia o le reazioni avverse, purtroppo a volte anche gravi e con conseguenze drammatiche.
Tali fallimenti sono stati attribuiti in buona parte all’inadeguatezza dei modelli animali. Gli animali spesso non sono infatti in grado di ricapitolare fedelmente le condizioni fisiologiche e le malattie umane, a cause delle differenze biologiche osservabili tra specie diverse. Inoltre le condizioni estremamente innaturali a cui sono costretti gli animali in laboratorio, lo stress causato dalle pratiche di routine e le modalità artificiali con cui vengono indotte le malattie, aggiungono ulteriore variabilità ai risultati degli esperimenti, creando anche problemi di riproducibilità, ovvero problemi ad ottenere i medesimi risultati nelle medesime condizioni.
“La correlazione tra le variazioni di espressione genica negli esseri umani e nei modelli murini di ustione, trauma e sepsi è scarsa. Suggeriamo di focalizzare la ricerca biomedica sulla complessità umana piuttosto che sui modelli murini per studiare le malattie infiammatorie” (Proc Natl Acad Sci U S A. 2013 Feb 26; 110(9): 3507–3512).
“Il nostro messaggio finale è che gli studi sperimentali sui topi transgenici dovrebbero essere presi con cautela. Studi di associazione sull’intero genoma condotti su esseri umani suggeriscono che è improbabile che singoli geni spieghino più del 10% delle varianti di ipertrofia ed insufficienza miocardica. Riteniamo che altri sistemi sperimentali (in vitro) forniscano risultati uguali (e spesso migliori) di quelli ottenuti con i topi transgenici, nel campo della cardiologia”.
“Si può ipotizzare che i modelli animali di dipendenza non siano serviti a molto per la comprensione e nel trattamento della dipendenza negli esseri umani. È importante riconsiderare alcune convinzioni ampiamente condivise sulla natura del comportamento di dipendenza negli umani che sono sorte dallo zelo nel tradurre le osservazioni dagli animali da laboratorio all’uomo”
Tra gli animali più utilizzati per studiare il sistema immunitario e testare gli effetti dei vaccini vi sono i topi, i furetti, e i primati non umani. Sebbene questi animali riescano a riprodurre in parte alcune caratteristiche della risposta immunitaria, sono ben lungi dal ricapitolare la complessità del sistema immunitario umano, le risposte ai patogeni, nonché ai vaccini e agli agenti terapeutici.
L’utilizzo dei modelli murini per gli studi di immunobiologia delle infezioni (ad es. malaria ed Herpes simplex) ha gravemente fuorviato i ricercatori riguardo la comprensione del controllo immunitario di questi patogeni nel corpo umano: si potrebbe ragionevolmente sostenere che l’eccessiva fiducia nei modelli murini abbia rallentato lo sviluppo di potenziali vaccini e cure per molte patologie.
La tragedia del TGN1412 che nel 2006 ha portato in fin di vita 6 volontari della sperimentazione clinica, ci fornisce un esempio di ciò che potrebbe accadere quando ci affidiamo ai modelli animali allo scopo di predire le reazioni immunitarie umane. Questo farmaco, un anticorpo monoclonale progettato per la terapia di alcune malattie autoimmuni si era dimostrato efficace ed innocuo su topi, ratti, conigli, e primati non umani, a dosaggi 500 volte superiori a quelli somministrati agli esseri umani. Sui volontari il farmaco ha invece scatenato una risposta immunitaria fuori controllo che ha provocato eccessiva infiammazione con conseguenti gravi danni ad organi vitali.
Più tardi i ricercatori hanno scoperto che ciò era avvenuto a causa delle differenze interspecifiche in alcuni recettori, che sono presenti sulle cellule umane e non su quelle degli animali. I sistemi in vitro che erano stati utilizzati negli studi preclinici, seppur basati su cellule umane, erano troppo semplicistici.
In modo simile, un anticorpo monoclonale (Hu5C8) che era stato testato con successo negli animali, inclusi primati non umani, per la cura dell’artrite reumatoide e altre malattie autoimmuni, non ha superato le fasi cliniche poiché causava la formazione di coaguli (trombosi) nei vasi sanguigni negli esseri umani.
Un altro esempio riguarda i vaccini contro l’HIV: ne sono stati sviluppati un centinaio, tutti efficaci sugli animali (perlopiù primati) ma nessuno realmente efficace per gli esseri umani.
Il fatto che i risultati ottenuti sui modelli animali siano soltanto raramente applicabili all’uomo può essere spiegato da diversi fattori: primo, la maggior parte degli studi sono effettuati su topi ottenuti attraverso sistemi di accoppiamento standardizzat (ceppi inbred)i, fatto che può falsare la risposta immunitaria e secondo, uomini e topi, ma in generale anche altre specie, mostrano numerose differenze sia nell’immunità innata che in quella specifica, tra cui le sottopopolazioni di diverse cellule immunitarie, i recettori per i mediatori chimici che regolano la risposta immunitaria, ecc.
I nuovi approcci metodologici utilizzabili per studiare in modo più rilevante il sistema immunitario umano, nonché farmaci e vaccini, sono numerosi ed in continuo sviluppo.
Ad esempio le co-cultura di cellule mononucleate da sangue periferico umano con espianti di cute autologa presi da donatori, seppure si tratti di sistemi relativamente semplici, rappresentano uno strumento promettente per ottenere informazioni sulla sicurezza, l’efficacia e le curve dose-risposta di prodotti biofarmaceutici inclusi anticorpi monoclonali, biosimilari e farmaci coniugati ad anticorpi, nonché informazioni sulle reazioni immunitarie avverse (ipersensibilità). Questi sistemi si sono dimostrati in grado di mimare in vitro e quindi predire i danni scatenati dal TGN1412 laddove i modelli animali non sono stati in grado.
Gli organi su chip sono un altro promettente approccio: I vasi sanguigni su chip perfusi con sangue umano intero sono stati in grado di riprodurre la formazione di trombi dopo somministrazione dell’anticorpo monoclonale (Hu5C8), che provoca trombosi nell’uomo ma non nei modelli animali. I linfonodi su chip, i sistemi multiorgano su chip ed altri sistemi ingegnerizzati che riproducono in vitro molti degli aspetti fondamentali del sistema immunitario umano, si sono rivelati e si stanno rivelando utilissimi per testare l’efficacia di vaccini, quali ad esempio il vaccino antiinfluenzale, anti-Covid19, e anti rabbico.
Grazie alle ultime frontiere delle tecnologie così dette “omiche” è possibile effettuare saggi rapidi analizzando grandi quantità di dati in poco tempo. Ad esempio attraverso analisi multi-parametriche a singola cellula è possibile esaminare il profilo immunitario di grandi campioni di popolazione. Ciò permette di studiare la risposta immunitaria umana nella sua unica complessità. È importante sottolineare che questi approcci andrebbero utilizzati in modo integrato, per studiare la fisiopatologia del sistema immunitario umano a diversi livelli di complessità, da quello molecolare, cellulare, tissutale, fino al livello individuale e di popolazione.
Se un numero sufficiente di laboratori collaborasse per analizzare le migliaia di campioni di sangue raccolti quotidianamente negli Stati Uniti o nel mondo, una sorta di “Progetto Immunologia Umana”, si potrebbero raccogliere velocemente ed esaminare dati provenienti da un vastissimo numero di persone sane e malate. In 5-10 anni, potremmo avere la prima approssimativa scala di riferimento della funzione immunologica umana. Nonostante I notevoli limiti, si continua ad investire ingenti risorse negli studi immunologici con modelli murini transgenici (ed altri modelli animali) e molti colleghi spesso sono sulle difensive quando si cerca di mettere in discussione la validità di questi modelli. Un’obiezione che spesso fanno è che sarebbe difficile ottenere dall’immunologia umana informazioni di base essenziali per poter pubblicare su riviste scientifiche di prestigio.
È molto probabile che studi su grande scala (che prevedono grossi investimenti) sul sistema immunitario umano saranno osteggiati da molti colleghi che credono fortemente che la ricerca innovativa debba avvenire nei piccoli laboratori e che grandi investimenti sull’immunologia umana e sulle metodologie di ultima generazione sottrarranno i fondi alla loro ricerca. Hanno probabilmente ragione; ma per quanto potremo ancora giustificare l’investimento di ingenti quantità di fondi pubblici per studiare il sistemaimmunitario murino (o di altri animali), che nella maggior parte dei casi avrà limitate applicazioni per la medicina?
In seguito ad un divieto iniziale dei test cosmetici su animali per alcuni endpoint per i prodotti finiti (2004) e per gli ingredienti (2009), nel 2013 l’UE aveva attuato il divieto di tutti i test sugli animali per prodotti ed ingredienti cosmetici ai sensi del regolamento 1223/2009.
L’obiettivo del Parlamento europeo, ampiamente sostenuto dall’industria, era raggiungere un divieto totale della sperimentazione animale in campo cosmetico entro il 2023.
Nonostante i divieti, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) richiede nuovi test sugli animali per determinati ingredienti, anche quelli utilizzati esclusivamente nei cosmetici e per ingredienti con un uso sicuro di lunga data.
Gli ingredienti cosmetici vengono testati sugli animali nell’UE ai sensi della normativa di Registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche (REACH). In tutta Europa, milioni di animali vengono quindi utilizzati ogni anno in esperimenti che spesso infliggono gravi sofferenze. Le vittime includono topi, pesci, ratti, porcellini d’India, conigli, scimmie, ecc.
Oltre all’ovvio problema etico e di sofferenza animale, c’è da dire che i test sugli animali raramente mantengono la loro promessa principale, ovvero garantire una migliore sicurezza per la salute degli esseri umani. L’efficacia e la capacità predittiva degli attuali test cosmetici sugli animali sono infatti intensamente dibattute in relazione alla loro applicabilità agli esseri umani, ovvero all’estrapolazione da specie a specie.
Organizzazioni per la protezione degli animali e per la promozione della ricerca innovativa esortano la Commissione Europea a sostenere il divieto dei test sugli animali per i prodotti cosmetici.
L’appello per la sospensione dei test segue una lettera aperta inviata lo scorso dicembre alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, e firmata da 463 marchi di cosmetici, organizzazioni per la protezione degli animali e la promozione della ricerca innovativa. Nella lettera, i marchi hanno sottolineato la propria abilità di garantire la sicurezza dei consumatori e per i lavoratori coinvolti nella produzione di cosmetici senza l’utilizzo di metodi animali, ed evidenziato che molti degli ingredienti in questione hanno già una storia molto lunga di uso sicuro. I gruppi per la protezione degli animali e la promozione della ricerca innovativa hanno enfatizzato il forte supporto dei cittadini europei per il divieto dei test cosmetici, esortando le autorità ad appoggiarlo come inteso dai legislatori al momento dell’introduzione del divieto stesso, e in linea con il supporto del Parlamento europeo per un divieto globale ai test sugli animali per i prodotti cosmetici.
La sospensione immediata della richiesta di test sugli animali per gli ingredienti usati esclusivamente nei cosmetici permetterebbe all’industria di incontrarsi con regolatori e decisionisti per dimostrare che invece di sottoporre migliaia di animali a ulteriore sofferenza per prodotti cosmetici, possono invece garantire la sicurezza dei prodotti utilizzando batterie di metodi innovativi senza animali.
Esempi di metodi alternativi agli animali applicabili per i test cosmetici
Gli approcci innovativi senza animali attualmente disponibili per i test cosmetici sono diversi. Alcuni esempi sono l’epidermide umana ricostituita in vitro per i test di irritazione cutanea, i modelli in vitro di pelle umana e il test di resistenza elettrica transcutanea per la corrosione cutanea. Vi sono poi dei test che utilizzano cornee bovine o occhi di pollo derivanti da scarti dell’industria alimentare per valutare l’irritazione oculare, metodi che anche se non possono essere considerati né “senza animali” né “basati sulla biologia umana”, rappresentano comunque un primo passo avanti che dimostra la possibilità di svolgere questi test su tessuti o organi isolati. Per la sensibilizzazione cutanea sono disponibili batterie di test che combinano metodi in vitro, in silico ed in chemico. Un esempio di test in chemico è il DPRA (Direct Peptide Reactivity Assay), utilizzato per predire il legame delle proteine epidermiche alla sostanza da testare, che è l’evento molecolare che innesca la reazione di sensibilizzazione ad una sostanza cosmetica. Questi metodi possono essere utilizzati anche per la valutazione della fototossicità dei cosmetici, ovvero quella scatenata in seguito all’esposizione della pelle ai raggi solari. Anche per testare la mutagenicità e la genotossicità (la capacità dei cosmetici di indurre mutazioni nei nostri geni) e la cancerogenicità dei cosmetici sono disponibili da tempo diversi saggi in vitro su cellule o su batteri. Molti di questi metodi vengono già impiegati da anni, ma purtroppo accanto ad essi, vengono spesso ancora richiesti dei test sugli animali.
Approcci innovativi come gli organi su chip e gli organoidi umani costituiscono una validissima promessa per poter testare gli effetti sistemici delle sostanze chimiche, nonché gli effetti sullo sviluppo del feto, in quanto permettono di riprodurre il funzionamento di interi sistemi di organi in modo fisiologicamente più rilevante e vicino alla biologia umana e lungo tutte le tappe dello sviluppo. Questi nuovi approcci metodologici, qualora promossi e perfezionati ed integrati con altre metodologie basate sulla biologia umana, potrebbero essere impiegati ad esempio per ridurre e sostituire gli attuali test di tossicità acuta e cronica sugli animali.
L’associazione di categoria Cosmetics Europe e gli scienziati di Beiersdorf, L’Oréal, Procter & Gamble e Unilever hanno pubblicato uno studio che delinea un quadro sull’utilizzo del “read-across” come metodo di nuova generazione per condurre valutazioni della sicurezza dei cosmetici.
Il ”read-across” è un metodo che riesce a fornire indicazioni su sostanze non ben caratterizzate partendo da sostanze a loro simili ma ben note, può essere utilizzato per inserire i dati mancanti nelle registrazioni trasmesse a fini regolatori e per evitare di effettuare nuovi test su animali.
Lo schema d’azione si basa quindi sui metodi esistenti, fornendo un approccio basato sull’esposizione e sull’evidenza per la valutazione di prossima generazione del rischio nei cosmetici.
Lo studio è stato Pubblicato sulla rivista scientifica Regulatory Toxicology and Pharmacology, ed i ricercatori hanno delineato il nuovo approccio per la valutazione della tossicologia in campo cosmetico. Il quadro in 10 fasi combina approcci di valutazione read-across e nuovi approcci metodologici senza animali in biologia e cinetica, come saggi in vitro, tossicogenomica e metabolomica.
La tossicogenomica è uno degli approcci utilizzati in tossicologia per lo studio degli effetti avversi dovuti ad esposizione a sostanze chimiche e include l’applicazione di tutte quelle tecnologie ad alta produttività (high-throughput) con cui si ottengono migliaia di informazioni per ogni campione analizzato, come ad esempio la metabolomica, cioè la scienza che studia i prodotti che risultano dalle reazioni chimiche che avvengono nei nostri corpi (mataboliti). Mediante la tossicogenomica e metabolomica è possibile raccogliere ed interpretare in che modo geni, proteine e metaboliti di una particolare cellula o tessuto rispondo alla presenza di una sostanza chimica. L’analisi di tali alterazioni viene effettuata con strumenti bioinformatici, che permettono l’elaborazione dell’elevato numero di dati ottenuti. I risultati ottenuti possono contribuire a spiegare quali siano i meccanismi molecolari, le relazioni gene-ambiente e le vie metaboliche perturbate dall’azione delle sostanze chimiche in esame, in questo caso i cosmetici.
Approccio in funzione dell’esposizione e basato sull’evidenza
Il team ha affermato che il lavoro è stato “costruito su” approcci consolidati, compresi i metodi di valutazione delineati nell’ambito del programma SEURAT-1 del consorzio dei test senza animali dell’UE, utilizzando un approccio basato sull’esposizione e su strategie integrate di ultima generazione, senza generare dati sugli animali.
“Il nostro quadro di lettura incrociata “read-across” in 10 fasi si basa su nuovi approcci metodologici senza animali consolidati per definire la somiglianza chimica suffragando ipotesi sulla somiglianza tossicologica delle sostanze” hanno scritto i ricercatori. “… Proponiamo un approccio al “read-across” basato sull’esposizione e sull’evidenza, in cui vengono utilizzati i nuovi approcci metodologici per rafforzare un’ipotesi di modalità/meccanismo di azione e supportare i dati sulla cinetica e l’esposizione”. I ricercatori hanno affermato che seguire il quadro ha consentito di eseguire una valutazione del rischio con strumenti di nuova generazione e con “un livello di confidenza accettabile” per una “sostanza bersaglio povera di dati” che non aveva cioè dati di sicurezza o erano inadeguati. Le possibilità di utilizzare diversi tipi di test a seconda della formulazione del problema, portano a un approccio maggiormente flessibile e basato su una buona scienza”.
I ricercatori hanno presentato due casi di studio per illustrare come lo schema potrebbe essere seguito nella pratica, ma hanno affermato che sarebbero necessarie ulteriori indagini, nonché uno sforzo congiunto tra scienziati, agenzie di regolamentazione, ed aziende, per poter implementare questi approcci in modo ottimale. Ulteriori studi aiuterebbero anche a determinare quali tipi di dati sono più utili per supportare le strategie di read-across, hanno affermato i ricercatori.
Il read-across: un importante trampolino di lancio verso una scienza senza animali
Per arrivare ad un approccio completamente senza animali nel settore cosmetico, hanno affermato i ricercatori, è indispensabile investire al massimo ed avere fiducia nei nuovi approcci metodologici – la cui conoscenza potrebbe quindi essere implementata per analizzare gli effetti dei cosmetici sulla salute umana. I metodi “read-across” sono un importante “trampolino di lancio” e particolarmente pertinenti laddove la sperimentazione animale, per la tossicologia e la cinetica sistemica, non è legalmente possibile. Tuttavia, nella pratica, includere il “read-across” nel processo decisionale normativo per la sicurezza umana è stato impegnativo: un ostacolo che il quadro in 10 fasi mirava a ribaltare. A giugno dello scorso anno, Cosmetics Europe ha presentato il suo “New Science Program”, un’iniziativa quinquennale guidata dall’industria e progettata per guidare e plasmare l’adozione futura e l’accettazione normativa di metodi alternativi ai test cosmetici sugli animali.
Mentre esiste un consenso generale sul fatto che i test non animali sulla sicurezza sono preferibili sia dal punto di vista del benessere degli animali che dal punto di vista scientifico, i nuovi approcci metodologici che non fanno uso di animali, non stanno emergendo abbastanza velocemente da sostituire i metodi esistenti basati su animali. Laddove stanno emergendo approcci alternativi, il processo per ottenere l’accettazione normativa dei test è sempre complicato e molto lento. Inoltre, anche quando i nuovi approcci metodologici senza animali si dimostrano efficaci, questi tendono a non essere utilizzati in quanto non sono obbligatori o spesso non sono conosciuti dai tossicologi.
LEAL SUPPORTER UFFICIALE DI SAVE CRUELTY FREE COSMETICS
l’Iniziativa dei Cittadini Europei per dire NO ai test cosmetici e alla sperimentazione sugli animali
Alexander-White C, Bury D, Cronin M, Dent M, Hack E, Hewitt NJ, Kenna G, Naciff J, Ouedraogo G, Schepky A, Mahony C, Europe C. A 10-step framework for use of read-across (RAX) in next generation risk assessment (NGRA) for cosmetics safety assessment. Regul Toxicol Pharmacol. 2022 Mar;129:105094. doi: 10.1016/j.yrtph.2021.105094. Epub 2022 Jan 4. PMID: 34990780.
Pistollato F, Madia F, Corvi R, et al. Current EU regulatory requirements for the assessment of chemicals and cosmetic products: challenges and opportunities for introducing new approach methodologies. Arch Toxicol. 2021;95(6):1867-1897. doi:10.1007/s00204-021-03034-y
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