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Processo Green Hill

Dic 1, 2014 | LEAL informa

(Articolo di Valentina volontaria Leal)
Si è conclusa ieri, presso il Tribunale di Brescia, la fase istruttoria del processo all’allevamento di Beagles Green Hill. L’allevamento è balzato alla cronaca la primavera del 2012, a seguito di vari servizi a Striscia la Notizia che hanno portato i video dei maltrattamenti a danno degli animali detenuti nella struttura e destinati alla ricerca scientifica. L’opinione pubblica, molto sensibile quando si tratta di cagnolini e animali da compagnia (salvo poi arrostire quelli più grandicelli come la mucca e il maiale), si è indignata e mobilitata per chiedere a suon di manifestazioni e petizioni la chiusura dell’allevamento marchiato Mashall e così è stato, dopo l’irruzione di alcuni animalisti e la liberazione di alcuni esemplari. Poco dopo il Pm di Brescia ha deciso il sequestro della struttura e i cani sono passati sotto la supervisione di ASL e Forestale locale, in attesa che le associazioni animaliste trovassero famiglie alle quali affidare temporaneamente o definitivamente gli animali liberati.
 
… i nostri sospiri e commenti trattenuti di indignazione e scoramento, si sono fatti sentire e hanno intesito non poco l’atmosfera entro la quale hanno fatto le loro sconcertanti deposizioni testimoni e consulenti della difesa. La situazione si è già definita nella sua assurdità nel primo intervento dell’avvocato di Green Hill, che faceva presente al giudice il clima di tensione provocato dalle manifestazioni animaliste fuori dalle aule di giustizia. Inutile raccontarvi l’espressione divertita del giudice che ha immediatamente lasciato cadere una simile obiezione, ritenuta senza alcun senso. “Quello che succede fuori all’aula a me non interessa”.
 
Il primo teste della difesa è stato il Dott. Azzi, veterinario ASL incaricato di supervisionare sulla salute dei cani dopo il sequestro. Il suo compito principale è stato quello di microchippare i cuccioli del capannone 3, quello delle fattrici, e a sua detta i cuccioli trovati non erano né denutriti, né ammalati, né spaventati. Solo qualche cane è stato trovato con la dermatite dermolettica, praticamente inguaribile, che il personale Greenhill stava curando con non precisati “emolienti alle erbe”. Incalzato dal Pm, Azzi ammette però di avere valutato le condizioni dei cani solamente alla vista e di essere un esperto di animali da macello, non certo di cani di allevamento. Inoltre, ammette che la sala operatoria de Green Hill fosse poco attrezzata per operazioni chirurgiche e che un allevamento di 3000 cani avrebbe necessitato di più di un veterinario, come invece accadeva.
 
Il secondo teste, perito agrario, tecnico del capannone 3, Galvani, è stato meno collaborativo con il Pm e si è limitato a confermare che la società aveva a cuore il benessere dei cani adducendo come prova il fatto che avessero cambiato la cuccia delle fattrici. Un po’ poco, non trovate? Alle domande del Pm su stato e età delle fattrici, Galvani si limita a una sfilza di “non lo so”, “non spettava a me”. Stesse inesistenti risposte riguardo ai cuccioli deceduti inalando la segatura della lettiera.
 
Il terzo teste portato da GrennHill, è un altro ex dipendente, Tabanelli, laureato in biotecnologia e impiegato come Galvani, al capannone 3. Il suo compito era quello di socializzare i cuccioli, “coccolandoli” e cambiando regolarmente lettiera e giochini in gomma. Quello che emerge dalle parole di Tabanelli è un paradiso per cani, in cui i custodi son indaffarati in riunioni qualità con dirigenti e veterinari, per garantire la vita migliore dei cuccioli e con le visite regolari e a sorpresa della signora Rondot, una specie di figura angelica che bacchettava i dipendenti non appena un cucciolo era scoperto mentre giocava con un gingillo troppo mordicchiato. La surrealtà. Soprattutto quando alla domanda del P.m. sulle modalità di pulizia del capannone 4, nel quale il Tabanelli ha ammesso di aver lavorato i primi tre mesi, il testimone sgrana gli occhi e risponde di non ricordarsi nulla. Ma come? I giochini sì, le coccole sì, e sul capannone 4 buio completo?
 
Ma sarà con i periti assunti come consulenti di parte, che si raggiungerà l’apice dell’indignazione e delle fesserie.
 
Paolo Scrollavezza, veterinario docente di anestesologia, prima afferma che per animali da allevamento “già calmi” non sono necessari i pre-anestetici, anche perché il loro effetto è molto lungo e può avere controindicazioni, salvo poi trovarsi faccia a faccia con i suoi appunti universitari in cui si parla dell’importanza della preanestesia. Ma soprattutto, possibile che nella sua deposizione compare il Caprofen (antalgico) quando Green Hill ha sempre dichiarato di non utilizzare altri farmaci oltre il gas anestetico? C’era o non c’era. Si deve usare o no? Borbottio in aula quando Scrollavezza taglia corto e dice che negli allevamenti se i cani hanno paura della sala operatoria si mettono in apparecchi di contenzione meccanica. Bravi, complimenti. Ma questo non spiega da dove salta fuori il Caprofen.
 
Misto tra la commedia dell’arte e l’autobiografia, la strabiliante deposizione dell’ex docente di di biologia animale, Luigi Massa, il quale ha driblato ogni domanda specifica di giudice e P.m. sull’analisi dei comportamenti dei cani all’interno di GreenHill. La conclusione è sconcertante: i beagles sno, secondo Massa, stati creati per essere usati nei laboratori, quindi non hanno bisogno di sgambare né di aria aperta. Non hanno mai paura e stanno bene sotto i neon, a 30° e chiudi negli stabulari perché sono animali capaci di adattarsi, come quello scimpanzé citato alla fine, che è stato immortalato nel porgere il braccio al vivisettore. Brividi nel pubblico. “Ma lei ha letto almeno l’intestazione della normativa del ’92?”. “Io non so niente di normative”, risponde Massa. Se questi sono i consulenti.
 
Molto lunga e da vermi allo stomaco, la consulenza doppia del veterinario di animali da laboratorio, Fornasier (vecchia odiosa conoscenza per gli antivivisezionisti) e del suo degno collega Rueca, docente universitario in medicina animale. Molto più furbi e con la classica faccia di bronzo di chi segue solo il dio denaro, i due hanno affermato che, sulla base di dati scritti e video, mai sull’osservazione diretta degli animali, non hanno riscontrato nessuna forma di maltrattamento, anche perché non esistono norme di legge che regolino temperatura, livello massimo di rumore, gestione degli spazi nel box né esistono studi scientifici che testimonino la sofferenza dei cani beagles in condizioni come quelle nelle quali versavano a Green Hill. Anche le documentazioni sulle eutanasie contestate dalla parte civile sono da loro giudicate regolari. Ma non ci si poteva aspettare altro da convinti sostenitori della vivisezione come Rueca e Fornasier (dipendente delle peggiori case farmaceutiche e primo vivisettore operante su cavie e conigli). Una cosa però al giudice non torna: Fornasier ha dichiarato che i laboratori non acquistano animali ‘contaminati’ da agenti esterni e per questo gli allevamenti mantengono gli esemplari in ambienti asettici e chiusi. D’altro canto si parla di beagles venduti con un livello 1 di dermatite. Come è possibile?
 
Passiamo ora alle dichiarazioni spontanee dei quattro indagati.
 
Gatti srotola un curriculum vitae infinito sulla sua carriera di esperto in benessere animale e di partecipazione ai comitati etici, tra cui quello fondato a Green Hill come dipendente Marshall. “Se avessi sospettato trattamenti contrari alla mia etica, avrei sospeso il contratto”.
 
Bravi, quattro parole con gli occhi sgranati: ho iniziato a lavorare lì poco prima della chiusura, non sapevo niente, facevamo riunioni sul benessere animale e nulla mi faceva sospettare qualcosa di strano.
 
Il Dott. Graziosi, veterinario assunto da Green Hill, ha invece subito un lungo interrogatorio, nel quale ha raccontato di essere stato chiamato da un’agenzia per lavorare nell’allevamento, che oltre allo stipendio (immaginiamo molto cospicuo) forniva a Graziosi anche un alloggio vicino ai capannoni. Uno dei punti centrali è stata una mail in cui lui , bravi e la dirigenza si scambiavano informazioni su un non specificato piano per addossare ai manifestanti entrati di forza nel capannone, peggioramenti che hanno portato all’eutanasia di alcuni cani. Il P.m. e gli avvocati non sono andati a fondo visto che al giudice la situazione può sembrare già chiara così. Resta in gola un quesito da porgere al Graziosi: come mai una multinazionale come Green Hill ha scelto lei come veterinario? Come mai ha dovuto rivolgersi ad un’ agenzia per trovare un professionista, visti i compensi faraonici proposti? Molti pensano che sia un problema etico al quale non tutti i veterinari, grazie a Dio, sei sentono di soprassedere.
 
Dalle 9:00 alle 16:00 con sole due pause da 20 minuti. Un’udienza lunga nella quale crediamo di avere sentito tutto; invece si alza lei, inaspettatamente, la direttrice di Grenn Hill e responsabile europea per Marshall. Anche la giovane interprete francese mostra imbarazzo e difficoltà a tradurre quello che la Rondot ammette con estrema freddezza e lucidità, precisando un punto su cui Graziosi è stato poco chiaro: che fine facevano fattrici e riproduttori a “fine carriera” e cuccioli malati di dermatite non più “vendibili”. Essi venivano venduti a un’azienda inglese sempre sotto la Marshall, responsabile della vendita di sangue, plasma e tessuti animali sul mercato.
 
Si conclude così con le fredde e precise parole francesi della Rondot e quelle tremanti della traduttrice, nel più profondo gelo della sala. Una smorfia del giudice tradisce, speriamo, la sua disapprovazione morale. Ciò però non toglie che per condannare occorre che ci siano prove di atti al di fuori della legalità. Noi ci auguriamo che l’atto finale di discussione del 19 dicembre alle 9:30, porti il giudice a una optare per una condanna esemplare.
 
FONTE http://www.kontrokultura.it/processo-green-hill-le-dichiarazioni-scandalose-dei-testimoni-e-dei-periti-della-difesa/