LA DOTTORESSA MIRTA BAJAMONTE IMPEGNATA SUL FRONTE DELLA RICERCA HUMAN BASED SI UNISCE ALL’INDIGNAZIONE DI LEAL NEI CONFRONTI DI CHI FA SPERIMENTAZIONE SENZA ANIMALI MA NON DICHIARA L’USO DEL SIERO BOVINO.
I giorni scorsi abbiamo ricordato attraverso i nostri social di una vergognosa e crudele realtà taciuta assieme a tante altre da chi pratica la sperimentazione animale ma che viene purtroppo taciuta anche da chi fa sperimentazione vantandosi di utilizzare metodi alternativi sostitutivi. Ovvero l’utilizzo di siero bovino ricavato da feti di vitelli ancora vivi e senzienti. Riportiamo di seguito la nostra pubblica denuncia che come LEAL Lega Antivivisezionista ci siamo sentiti di fare stigmatizzando i ricercatori che vantando l’utilizzo di metodi sostitutivi alternativi non utilizzano animali ma mantengono l’uso del siero bovino nelle loro ricerche per le quali chiedono e usufruiscono di finanziamenti pubblici.
IL SIERO FETALE È UNO DEI SOTTOPRODOTTI DEL MACELLO
SI TROVA IN UN GRAN NUMERO DI VACCINI ED È USATO ANCHE COME COMPLEMENTO NUTRIENTE PER TUTTE LE COLTURE DI CELLULE EFFETTUATE IN LABORATORIO POICHÉ FAVORISCE LA CRESCITA DELLE CELLULE
Come viene prelevato dalle mucche?
Alcune mucche portate al macello sono gravide (le stime dicono il 20/30%). Dopo essere state abbattute, il loro feto, ancora vivo, è estratto dal loro utero per incisione. Un grosso ago gli viene immesso nel cuore, i cui battiti permettono di prelevare il sangue senza sforzo. Questa puntura cardiaca, considerata estremamente dolorosa, provoca una morte lenta per asfissia. Gli studi hanno dimostrato che anche un feto di 3 mesi ha la predisposizione fisiologica per sentire dolore. La maggior parte dei feti prelevati ha dai 6 ai 9 mesi, ed è in grado di respirare da solo quando l’ossigeno viene a mancare. I feti sono quindi perfettamente consapevoli e provano una grande sofferenza durante la loro lenta agonia. Non dimentichiamo inoltre il dolore che sentono dopo essere stati strappati dalle spoglie della loro madre.
I più grandi produttori di siero sono gli Stati Uniti, l’Argentina, la Nuova Zelanda, l’Australia e la Francia in Europa. Ogni anno sono raccolti nel mondo 800.000 di litri di siero all’anno che equivale ad impiegare circa 2 milioni di feti bovini sottoposti al prelievo del loro siero, e le proiezioni prevedono aumenti nella produzione.
La domanda di siero continua a crescere, motivata dall’aumento delle colture vegetali in vitro, che dovrebbero sostituirsi ai test sugli animali (che ironia). Le istanze europee per lo sviluppo dei metodi alternativi alla vivisezione, hanno firmato una dichiarazione a favore dell’uso di sostituti sintetici ai sieri di origine animale utilizzati per le colture cellulari, riconoscendo la sofferenza e il problema etico dell’uso di siero di vitello fetale.
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La professoressa Mirta Bajamonte ci invia un suo contributo che volentieri pubblichiamo sull’argomento.
In riferimento alla pubblicazione di notizie riguardanti l’uso di siero fetale bovino come additivo di terreni di coltura nei laboratori di ricerca, paradossalmente votati ai metodi alternativi alla sperimentazione animale, sorgono come dovuto dovere da parte di un ricercatore come me, importanti e sottili considerazioni su base scientifica e di pura logica.
Il fatto che dei metodi di ricerca siano “alternativi” alla sperimentazione animale è già una definizione errata perché lasciano spazio al pensare che, in quanto alternativi, la sperimentazione animale ha ragione di esistere su base scientifica, sapendo perfettamente che chi effettua ricerca con metodi diversi dagli animal testing, conosce benissimo la non base scientifica degli stessi.
Pertanto i metodi di ricerca che non sono basati sulla sperimentazione animale, possono essere SOLO E SOLTANTO sostitutivi e NON alternativi, evitando di dare spazio a insenature concettuali basate su ipocrisie opportunistiche di diversa natura, dalla carriera universitaria al business farmaceutico, a dir poco scandaloso, coperto dal benestare delle istituzioni di governo nazionali ed internazionali.
Entrando nel merito dei metodi sostitutivi, e quindi soltanto di ricerca human based, è assoluta follia utilizzare siero fetale di bovino per addizionare terreni di coltura di varia natura: dai laboratori di ricerca di biologia molecolare, a quelli di genetica medica, a quelli di fecondazione assistita umana, dove ancor di più l’uso di siero fetale bovino è pura eresia, visto che il metodo più consono alla specie umana è quello di aggiungere ai terreni di coltura in vitro per gameti ed embrioni umani o il siero autologo della paziente in corso di assistenza o il siero sintetico che rappresenta lo strumento più idoneo per abbattere ogni sorta di variabile scientifica in qualunque studio basato su trial clinici degni di essere chiamati tali nella ricerca human based.
A tal proposito, nell’ambito della mia carriera professionale in ambito di fisiopatologia della riproduzione umana, avendo sempre svolto solo e soltanto ricerca human based, ricordo un episodio vissuto in un congresso dove veniva presentato il metodo di creazione di un nuovo terreno di coltura che sarebbe stato la rivoluzione per alcune tipologie di pazienti infertili affette da alcune patologie che le ponevano in una condizione di estrema difficoltà nel produrre ovociti sotto terapia adeguata per un programma di fecondazione assistita. Per un fatto di prevenzione legale non nomino il terreno di coltura, la casa che lo stava mettendo in produzione, ne tanto meno la collega che si apprestava a presentare la ricerca che avrebbe portato alla creazione del terreno.
Ebbene, in quella occasione fu detto in aula che il terreno studiato ad hoc era stato supplementato da siero fetale bovino per aggiungere principi nutritivi al prodotto al fine di migliorare le “prestazioni in vitro” dei gameti femminili. Scandalizzata, ricordo che fui l’unica ad alzarmi in aula prendendo la parola evidenziando la grande eresia fatta, essendoci la possibilità di utilizzare il siero sintetico prodotto in vitro, che avrebbe simulato perfettamente i componenti del siero umano quali principi nutritivi atti allo scopo.
E precisai anche che l’uso eventuale del siero omologo della paziente sottoposto a studio non andava considerato come alternativa, perché nell’ambito di una casistica di studio, sarebbe stata una forte variabile in termini di dati statistici scientificamente significativi per interpretare i dati scientifici estrapolati alla fine della ricerca. Ricordo benissimo che la risposta ricevuta fu nei termini di dimenticanza procedurale.
Cosa dire alla fine di tali considerazioni semplicemente che anche nella ricerca e nei metodi di ricerca sostitutivi (perché soltanto quelli vanno definiti ricerca) è necessario avere il coraggio di scelte di protocolli chiari, coerenti e mirati allo studio serio della patologia che ci si appresta a studiare, sia essa una patologia a competenza diretta o indiretta come nel caso di effetto collaterale ad altra patologia principale dell’uomo che ne è affetto.
Auspichiamo quindi prospettive in tempi veramente brevi di cambi di rotta radicali, indice di responsabilità scientifiche basate su onestà intellettuale.
Professoressa Mirta Bajamonte
Presidente Penco Bioscience
Presidente IVF Mediterranean Centre
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