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Divertirsi sul dolore degli altri animali

Apr 25, 2019 | Argomenti, LEAL informa, Vivere eticamente

Siamo grati ad Annamaria Manzoni, psicologa e scrittrice fortemente impegnata nella questione animale, che si è resa disponibile a collaborare con LEAL firmando un nuovo articolo di una serie di contributi periodici.

La legge di riferimento contro i maltrattamenti animali (la 189 del 2004), che non si schiera a favore degli Animali, ma (Titolo IX-BIS) del sentimento degli uomini nei loro confronti, specifica che tale eventuale sentimento non viene tutelato se viene smosso da eventi correlati a situazioni legalizzate, tra le quali vengono citate le manifestazioni storiche e culturali.
Implicitamente, quindi, la legge prende atto della crudeltà insita in tali manifestazioni, delle possibili reazioni da parte delle persone, ma decide di lasciarle fuori dal proprio ambito di intervento, stabilendo così un abisso giuridico tra comportamenti simili in situazioni diverse.
Sulla scorta di questo stato di cose, ancora oggi è necessario ribadire un principio che dovrebbe invece essere scontato, vale a dire che i maltrattamenti degli Animali non dovrebbero essere considerati in alcun modo leciti, nemmeno se connotati come espressione di manifestazioni storiche e culturali e di tradizioni, che di fatto sono una copertura, come vedremo, assolutamente contestabile.

Il problema non è certo secondario, dal momento che queste manifestazioni si contano nell’ordine delle migliaia e coinvolgono Animali di ogni tipo: cavalli, asini, tori, mucche, buoi, capre, agnelli, piccioni, oche, rane: sempre più gettonati, pare, gli asini. Anche la regione Piemonte non si fa mancare nulla, visto che contempla corse di buoi, palii di asini e cavalli, oltre a fiere di ogni tipo, nonché addirittura una cursa dla galina (a Piverone -Torino) in cui, come spesso accade, pur in era di globalizzazione sono i quattro rioni della città a sfidarsi; e anche questa è una caratteristica non rara: il riferimento a Siena è fin troppo ovvio.
Sono accomunate da alcuni elementi, vale a dire:
. l’evento è privo di qualsiasi utilità: gli spettacoli sono fini a sé stessi, puro e semplice divertimento;
. per una buona riuscita, risultano fondamentali la presenza e il coinvolgimento di pubblico, di una folla possibilmente eccitata, vociante e rumorosa;
. o prevedono che gli Animali siano costretti a comportamenti innaturali, in antitesi alle loro caratteristiche etologiche, perché, se facessero quello che è nella loro natura, non ci sarebbe spettacolo; di conseguenza possono facilmente essere coinvolti in competizioni rovinose, possono essere feriti o morire; il tutto in un clima di euforia collettiva.
Si ripete ogni anno, in maggio, la Corsa dei buoi di Asigliano (Vercelli), che ha luogo in occasione della festa Patronale di San Vittore: i buoi, animali lenti per natura, sono costretti a correre in evidente spregio delle loro caratteristiche etologiche, nel corso di “una bella festa”: in questo caso il ricordo da salvaguardare (ma chi è che davvero “ricorda” o è anche solo interessato a farlo?) sarebbe quello di un’epidemia di peste del 1436 in cui fu San Vittore a compiere il miracolo della guarigione collettiva: gli abitanti si impegnarono allora a fare correre “in segno di gioia e di gratitudine” gli animali più lenti, secondo la diffusa pratica di far pagare ad altri i propri debiti: in sintonia con la tradizione dell’agnello da sacrificare per pagare i peccati del mondo. Gli storici per altro contestano la ricostruzione, ma tant’è: foto e video delle passate edizioni mostrano animali terrorizzati, inseguiti e bastonati con grande convinzione dai giovani locali in preda a delirio machista mentre anche i bambini ai lati della pista urlano e si divertono.
Corse di buoi hanno luogo in molte parti del paese: a Chieuti (Foggia) per esempio, dove i buoi, legati in pariglia, sono altresì costretti a trascinare pesi di quintali, pungolati e bastonati dai giovani locali; il tutto in onore di San Giorgio, che avrebbe ucciso il drago. O ancora nel Basso Molise (Portocannone, San Martino in Pensilis, Ururis), precedute dalla benedizione religiosa. O a Caresana (Vercelli), sempre in onore di San Giorgio. E via maltrattando.
Tutto questo viene sdoganato in nome di valori storici, tradizioni e cultura: ma ben poco c’è di vero in tutto questo, come è facile argomentare. Visto il potere che rivestono questi termini, va sottolineato in primo luogo che le tradizioni non giustificano nulla, in quanto non si rifanno alla forza di un argomento, ma si limitano a richiamarsi alle consuetudini.
Per quanto concerne il richiamo alla Cultura parlare di “cultura” significa riferirsi ad un vasto patrimonio di conoscenze, credenze, comportamenti, abitudini, costumi, convenzioni, tipici di determinati contesti, coltivati e tramandati da una generazione all’altra. Ma nulla rimane immobile, immutabile: la trasmissione intergenerazionale si attua attraverso gli individui e ogni generazione è diversa da quella precedente, come è esperienza osservabile anche nel privato, all’interno delle famiglie, dove il gap tra genitori e figli è evidente, perché i figli sono portatori di valori e comportamenti spesso in contrasto con quelli dei genitori, tanto più in tempi di rivolgimenti velocissimi quali sono quelli attuali. Le persone modificano i loro comportamenti in funzione del contesto e quando i vecchi modelli risultano privi di senso, non sintonici con un pensiero che si è trasformato. Inoltre il termine “cultura” possiede una connotazione positiva: contempla implicitamente l’idea di civilizzazione, di affinamento ed evoluzione dei costumi, implica un progresso verso il rispetto per tutte le forme viventi: significa ampliamento della coscienza.
Nello specifico, non stupisce che manifestazioni che hanno avuto origine in tempi lontani contemplassero un uso distorto degli Animali: si trattava di tempi in cui il rispetto per loro era pressoché sconosciuto. Ma negli ultimi decenni e soprattutto negli ultimi anni hanno avuto luogo potenti cambiamenti nella cultura dei diritti, anche di quelli animali. Le conoscenze etologiche, se mai ce ne fosse stato bisogno, hanno tolto ogni alibi: sappiamo con certezza che sono in grado di provare dolore fisico e malessere emotivo; sanno soffrire, gioire, godere; sperimentare ansia, paura, depressione; sono stati riconosciuti come esseri senzienti (Trattato di Lisbona; 2009); molti di loro (mammiferi, uccelli, alcuni invertebrati quali il polpo) come dotati di autoconsapevolezza (Dichiarazione di Cambridge; 2012). Esiste una Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali (1978); un Manifesto per l’Etica Antispecista (2002); è andata crescendo in modo esponenziale la sensibilità nei loro confronti: se vogliamo parlare di cultura, è questa la cultura in cui siamo immersi oggi, assolutamente distonica nei confronti del loro abuso, tanto più inaccettabile quanto ricercato a puro scopo di divertimento.
Per altro ce ne guardiamo bene dal coinvolgere gli animali che ci sono più cari, quali cani e gatti, nonostante non se ne astenessero i nostri lontani progenitori: sotto l’impero romano, nel corso dell’Augurium Canarum, una pecora e una cagna dal pelo fulvo venivano sacrificate per contrastare la calura estiva. Non destava scandalo e non stupisce in quanto erano tempi in cui, secondo alcuni storici, i romani come i galli mangiavano carne di cani appositamente allevati. Semplicemente questo non è più accettabile dalla nostra cultura; lo è in altre, in cui per esempio vengono compiuti riti woodoo che prevedono l’uccisione orribile di galline e gatti, possibilmente neri. In un’altra cultura ancora (quella brasiliana della presidenza Bolsonaro!!!) è appena stata votata all’unanimità una legge che, in nome del diritto fondamentale alla libertà religiosa, permette il sacrificio animale in ogni religione, non solo in quelle animiste: il che grida vendetta alle nostre orecchie, evidentemente non a quelle dei brasiliani.
A dimostrazione che il richiamo alla cultura è una sorta di passepartout funzionale a sdoganare ciò che si vuole, si può poi pensare ai rodei, che contemplano l’evidente tormento di cavalli o altri animali (addirittura vitelli!) che cominciano ad appestare anche i nostri paesi, autorizzati dalle autorità competenti nelle regioni in cui hanno luogo, nonostante di certo non affondino le radici nelle nostre tradizioni.
Cultura o invece divertimento e abbuffate?
Ancora: di moltissime di queste manifestazioni l’origine antica, se anche c’è, è davvero difficoltosa da recuperare, ma, anche quando anche risulta fattibile farlo, interessa poco o nulla astanti e organizzatori, con l’esclusione se mai di qualche isolato studioso che si affanna a giustificare l’ingiustificabile a beneficio di una locandina dell’Ufficio del Turismo. Ciò che è vivo e vegeto è invece il piacere derivante dalla situazione: senza dimenticare né sottovalutare che spesso queste feste si trasformano in occasione per abbuffate, dove la vittima privilegiata è lo stesso animale di cui si celebra appunto la “festa”, pubblicizzata senza pudore in manifesti che invitano alla festa del maiale, del cavallo, dell’asino, dell’oca, e di tanti altri ancora.. Non raro che sui manifesti si veda l’immagine in genere sorridente della vittima designata, tipo il maiale che tiene nelle zampe coltello e forchetta.
Nella Corsa del Gallo a Strozzacapponi (Perugia), l’evento più atteso è la corsa di 400 metri con un gallo, sollevato dagli uomini mentre corrono, in portantina, a mò di statua: lui cade, scappa, viene recuperato: ci si diverte davvero tanto a vederlo mentre cerca di sottrarsi a tutto questo. Non bastasse, l’assistenza al pollastro (come leggiadramente lo chiamano alcuni cronisti) termina poi con un grande banchetto: perché la Sagra è quella del Crostone, vale a dire pietanza con ben venticinque ingredienti a base di interiora di pollo.
Altro che cultura e tradizione, o residui di sacralità: si celebra piuttosto il trionfo della beffa, del cinismo, dell’irrisione della sofferenza e della morte degli Animali: mentre ci appelliamo ai valori della tradizione, costringiamo esseri indifesi a competizioni senza senso e noi entriamo in deliri di ingordigia, in cui ci muoviamo con soddisfazione.
Motivazioni reali
Alla luce di tutto questo, parlare di cultura e tradizione appare in realtà una forma di razionalizzazione, vale a dire ci serviamo di quel meccanismo di difesa tanto diffuso, di impiego frequente, che consiste nel fornire una spiegazione fittizia, ma plausibile ad un comportamento, che invece è dettato da motivazioni ben più egoistiche che non è facile ammettere, perché siamo consapevoli che non ci farebbero onore. Insomma: molto più nobile sostenere che si è lì a celebrare tradizioni che non a divertirsi e ad abbuffarsi. È una narrazione rassicurante, socialmente accettabile, a volte persino convincente: e i nostri istinti goderecci sono sdoganati con tanto di nobilitazione.
Il pubblico delle sagre
Se la sofferenza degli animali è di per sé inaccettabile e quindi sufficiente a privare di qualsiasi legittimazione manifestazioni che la provocano, è anche importante occuparsi delle ricadute sugli umani, bambini e adulti.
Bambini
I bambini, che sono spesso il pubblico privilegiato di manifestazioni vissute come momenti di festa, ne subiscono gli effetti deleteri, che si valutano in termini di possibile desensibilizzazione. Se l’educazione deve essere soprattutto educazione al rispetto per l’altro, se è fondamentale lo sviluppo dell’empatia, siamo davvero davanti ad un grande fallimento. L’empatia è la capacità di mettersi nei panni dell’altro, in sintonia con il suo stato mentale, con la capacità di decodificarne le emozioni in una sorta di risonanza emotiva: è inscritta nelle nostre potenzialità, nasciamo programmati per svilupparla, ma perché questo succeda occorrono modelli, modelli non teorici, ma di comportamento, esattamente come succede per il linguaggio. Gli adulti sono fondamentali, e il messaggio che inviano è tanto più potente quanto più sono investiti di autorità, a fare inizio quindi da genitori e principali figure di riferimento. I bambini svilupperanno empatia osservando e condividendo situazioni in cui gli adulti di riferimento avranno comportamenti empatici, manifesteranno cioè vicinanza, comprensione, condivisione, rispetto per gli altri, metteranno in moto comportamenti di aiuto e di solidarietà. Ora, situazioni in cui la sofferenza degli animali, il lor terrore, il loro maltrattamento non provocano rifiuto e azioni di soccorso, non mettono in moto un rispecchiamento empatico, ma invece soddisfazione ed entusiasmo, sono di per sé stesse deleterie sul piano educativo, insegnano una lezione di prepotenza e prevaricazione distante anni luce da un approccio all’educazione e al rispetto di chi è diverso ed è debole, proprio in quanto dirette in direzione contraria allo sviluppo dell’empatia, che è invece fondamentale momento di crescita. La direzione che viene assunta è quella dell’analfabetismo emotivo, che non rimarrà circoscritto nel perimetro della manifestazione in atto, ma sarà un tassello nella formazione della personalità. Sappiamo dagli studi psicologici che lo sviluppo dell’empatia rende gli individui meno aggressivi e più disponibili verso gli altri; e si vanno moltiplicando gli studi che prendono in considerazione il link che lega l’empatia verso gli animali a quella verso gli umani, a partire da una sorta di identificazione e di simpatia verso gli esseri più deboli. In questa ottica, è stato stilato qualche anno fa il Documento degli Psicologi (
→ documento) firmato da oltre 700 colleghi, in cui si esprime motivata preoccupazione per il coinvolgimento dei bambini in tutte le situazioni in cui la sofferenza e il maltrattamento degli Animali vengono disconosciuti o diventano motivo di festa.
Adulti
Se queste sono le ricadute sui bambini, ci si deve interrogare anche sugli adulti, ci si deve chiedere come sia possibile che tanta gente si accalchi e partecipi con entusiasmo al tormento pubblico di animali. Le motivazioni sono tante e non si può certo sottacere che sensibilità, solidarietà, altruismo sono valori non così popolari come sarebbe auspicabile.
È comunque utile l’osservazione che quella che va in onda è una sorta di mistificazione, vale a dire di alterazione degli avvenimenti, resa possibile dal sommarsi di svariati elementi. Spesso il nostro modo di conoscere le cose non è quello che crediamo: siamo convinti di possedere un giudizio pulito, oggettivo, libero da condizionamenti, mentre in realtà ci avviciniamo alle situazioni con un bagaglio di convinzioni, di cui spesso non siamo consapevoli, che è il frutto del contesto in cui viviamo e della connotazione normalmente attribuita alle esperienze: il tutto dirige il nostro giudizio. Nello specifico, il fatto che le manifestazioni sono legali, autorizzate e organizzate dalle autorità cittadine è già una forma di condizionamento, perché, nella mente di molti, i concetti di legalità e di giustizia si fondono; manifesti pubblicitari ne sottolineano l’appetibilità; la benedizione religiosa tanto spesso impartita agli Animali e alla sagra stessa aggiungono credibilità e plusvalore. In sintesi: maltrattare gli animali nelle sagre, siccome è legale e anche un po’ sacro, di sicuro è anche giusto.
Possiamo poi anche aggiungere che quando le persone sono organizzate come folla, beh allora, come ha cominciato a sottolineare Le Bon addirittura nel 1895 senza mai essere poi smentito, le capacità critiche spesso collassano in favore del contagio emotivo. In altri termini l’entusiasmo, le grida, l’euforia obnubilano le capacità critiche.
La sofferenza degli animali non viene colta perché l’attenzione è tutta spostata su altro: se sono piccoli, come le rane, i loro segnali di terrore sono semplicemente poco visibili; nella corsa delle oche, dei maiali, degli asini le grida. i ragli, gli starnazzamenti sono un incentivo al clima di euforia. Se grandi animali, buoi o cavalli cadono rovinosamente, si feriscono, muoiono o vengono addirittura uccisi, beh quello è un tributo, uno spiacevole accidente, che nulla toglie alla situazione, e l’esecuzione pubblica è mistificata in intervento pietoso. Nessuno è innocente, tanto meno lo sono i cronisti che tanto spesso raccontano gli eventi con un entusiasmo urlato e convinto, in cui non si trova traccia di quel senso critico che ci si potrebbe aspettare da chi è deputato a trasmettere informazioni.
In conclusione: legislatori illuminati non dovrebbero rimanere spettatori passivi, ma essere promotori di cambiamento. Invece le leggi vengono promulgate solo quando “i tempi sono maturi”: in altri termini quando si è sicuri di poter contare sul consenso elettorale. Quando finalmente si esprimono, svolgono un’operazione che risulta fondamentale grazie all’autorità che le leggi rivestono e perché i loro dettami col tempo vengono introiettati ed assumono alla fine il vigore di norme morali di riferimento.
Per quanto riguarda le situazioni di cui stiamo parlando, non dovrebbe essere difficile: in fondo si tratta solo di stabilire una volta per tutte che maltrattare gli Animali è un’azione abietta, che farlo per divertirsi ha in sé una componente sadica che abbiamo il dovere di riconoscere e di denunciare, uscendo una volta per tutte dalla mistificazione che ammanta di cultura ciò che in realtà è barbarie.
In fondo non si tratta di discutere se le sagre sono o non sono manifestazioni culturali, ma si tratta di decidere semplicemente, una volta per tutte, in quale mondo vogliamo vivere: e questo, così come è fatto, di sicuro non va bene. “Che ne venga un altro” diceva Josè Saramago.
(Intervento al convegno “Fiere, corse, sagre con animali”. Sala SOS Gaia, Torino 13/04/2019)

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