IO HO CONOSCIUTO UN ILLUMINATO
di Stefano Cagno, medico e psichiatra
Non so se tutti i soci della LEAL sanno chi è stato Kim Buti. Quanti non l’hanno mai sentito nominare, oppure non hanno un’idea precisa, devono sapere che la LEAL esiste perché, nel lontano maggio 1978, proprio Kim Buti decise di fondare a Milano un’associazione che si prefiggeva come compito principale quello di combattere la vivisezione.
LEAL è l’acronimo di Lega Antivivisezionista Lombarda, perché inizialmente l’idea era quella di fondare un’associazione che agisse a livello locale, ossia in Lombardia. Solo in seguito, iniziando a estendere la propria attività anche fuori dalla nostra regione, l’associazione perse la parola Lombarda, diventando Lega Antivivisezionista, pur mantenendo la lettera L nell’acronimo LEAL.
L’esistenza a distanza di tanti anni della LEAL è già la dimostrazione che Kim Buti aveva ben seminato e visto lontano tuttavia, anche se può essere strano pensarlo, il principale merito di Kim Buti non fu l’aver fondato la LEAL, ma essere stato per primo in Italia a parlare, credere e proporre i metodi alternativi alla sperimentazione animale.
Oggi in pratica tutte le associazioni antivivisezioniste italiane e straniere parlano di metodi alternativi o sostitutivi, tutte hanno contatti con ricercatori che operano in questo campo, alcune finanziano borse di studio e comunque cercano di tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica sulla necessità di spostare le risorse investite nel campo della sperimentazione animale verso lo sviluppo di nuove metodologie innovative di ricerca.
Negli ultimi anni sono nate associazioni che riuniscono medici, scienziati, ricercatori che hanno lo scopo principale, e a volte unico, di spingere il mondo della ricerca scientifica verso il definitivo superamento della sperimentazione animale grazie proprio all’implementazione dei metodi alternativi.
Oggi questi concetti sono chiari a tutti quelli che si occupano di antivivisezionismo. Nessuno di voi, che in questo momento sta leggendo questa rivista, considererà quello che ho appena detto un concetto nuovo od originale, ma nel lontano 1978 la situazione era molto diversa e se siamo arrivati dove siamo arrivati e se il futuro sembra sempre più positivo e promettente per quanto riguarda il superamento della sperimentazione animale, un grande merito in Italia l’ha proprio Kim Buti.
Era il 1985 e la LEAL assegnò per la prima volta una borsa di studio per lo sviluppo di un metodo alternativo: era un piccolo grande sogno di Kim Buti che finalmente si realizzava. Ovviamente non si trattava di una grande cifra, 18 milioni di lire raccolte grazie alla generosità dei soci e dei simpatizzanti dell’;associazione, tuttavia una strada era stata aperta. Kim Buti aveva preso contatto con il professor Clementi dell’Istituto di Farmacologia di Milano ed er
riuscito a convincerlo a collaborare con la LEAL nel tentativo di sviluppare un metodo di ricerca che potesse risparmiare in futuro qualche animale.
A distanza di tanti anni, realizzare tutto ciò potrebbe sembrare abbastanza semplice, ma nel 1985 non lo era per niente. Non solo perché nessuna istituzione di ricerca, privata o pubblica, aveva alcuna intenzione di collaborare con gli antivivisezionisti, non solo perché quello che le associazioni potevano offrire ai ricercatori erano cifre irrisorie e quindi ben poco appetibili, ma anche perché nell’ambiente stesso dell’antivivisezionismo, avere contatti con chi compiva esperimenti sugli animali, era visto con grande diffidenza. Spiace ammetterlo, ma da psichiatra posso affermare che non è infrequente riscontrare atteggiamenti paranoici in ambiente antivivisezionista. Alcuni tendono, in una logica complottistica, a interpretare i comportamenti e le scelte altri, soprattutto se non coincidono con il nostro punto di vista, come frutto di malafede, e anche in quel caso fu così.
Per quanti gioirono con Kim Buti per quel piccolo risultato ottenuto, piccolo nell’immediato, ma enorme in prospettiva, vi furono diverse altre persone che cominciarono a dire che Kim Buti era un infiltrato delle industrie farmaceutiche, che era un traditore, oppure era uno che già dall’inizio era al soldo dei nostri avversari.
Ho avuto la fortuna e il privilegio di conoscere personalmente Kim Buti, una persona che aveva un’ avviata attività commerciale, economicamente benestante, che non aveva alcun bisogno di cercare denaro da qualche altra parte. Anzi, per portare avanti il suo sogno antivivisezionista, Kim Buti chiuse la sua attività e, a un certo punto, per andare avanti gli era stato riconosciuto un piccolo stipendio che avrebbe dovuto prendere mensilmente dalle entrate della
LEAL. Solo dopo la sua morte, la sorella, che era l’unica erede, si accorse che quella cifra mensile, a lui dovuta, non era mai ritirata. In altre parole, nonostante Kim Buti lavorasse a tempo pieno per la LEAL e per questo motivo avesse chiuso la sua attività commerciale e quindi non avesse alcuna fonte di reddito, nonostante sarebbe stato perfettamente legale percepire quel piccolo stipendio, nonostante tutto ciò Kim Buti non prese una sola lira dalla LEAL.
Credo sia sempre importante conoscere le proprie radici e da dove veniamo. Non esistono dubbi che il movimento antivivisezionista italiano poggia le sue radici su quanto ha fatto Kim Buti ed è arrivato, dove è arrivato, anche grazie alle sue intuizioni, la più importante delle quali è proprio la sponsorizzazione dei metodi alternativi.
Io ho conosciuto Kim Buti nella calda estate nel 1982 in uno scantinato in via Cavalcanti 14 a Milano, perché lì è stata la prima sede della LEAL. Ero un giovane studente in medicina che stava terminando il primo anno; parlammo a lungo, mi regalò una copia del libro Imperatrice Nuda di Hans Ruesch, mi strinse la mano e la mia vita cambiò. Io ho conosciuto un illuminato che si chiamava Kim Buti, non l’ho mai dimenticato e mai lo dimenticherò.