Siamo oggi di fronte all’evidenza che la ricerca basata su modelli animali non costituisce un problema soltanto di ordine etico-animalista ma anche scientifico e metodologico. Sempre più studi pubblicati su riviste scientifiche internazionali mettono infatti in discussione l’affidabilità e la
rilevanza dei modelli animali quali modelli per studiare le malattie umane e la risposta ai farmaci o agli agenti tossici. Un numero crescente di scienziati, consapevole dei pericoli derivanti dal sovra affidamento ai modelli animali, sta lavorando per il superamento della sperimentazione animale e lo sviluppo / applicazione dei metodi human-based, spingendo verso un vero e proprio cambio di paradigma nella ricerca biomedica.
Secondo il National Insitute of Health statunitense, le percentuali di fallimento dei potenziali farmaci che, passate le fasi precliniche (in vitro ed in vivo, su animali), non riescono a superare le fasi cliniche (su volontari umani) si attestano intorno al 95%.
Percentuali ancora più alte di insuccesso si riscontrano in ambito oncologico (95-100%) e nelle malattie neurodegenerative come l’Alzheimer (99,6%), ecc.
“I modelli animali sono limitati nella loro capacità di modellare la complessità dei tumori umani. Pertanto la sicurezza e l’efficacia dei potenziali farmaci testati sugli animali non sono generalmente trasferibili all’uomo e tradotte in benefici per i pazienti” (Am J Transl Res 2014 Jan 15;6(2):114-8).
“Nonostante decenni di ricerca su modelli animali, l’Alzheimer rimane una patologia scarsamente compresa e per cui non esiste una cura efficace. Sosteniamo la necessità di spostare il focus della ricerca dai modelli animali a modelli basati sulla biologia umana per ottenere risultati concreti che giovino ai pazienti. L’implementazione di tali modelli può accelerare lo sviluppo di strategie migliorate per prevenire, rilevare, migliorare e possibilmente curare questa malattia devastante” (ALTEX 2014;31(3):279-302).
Anche per altre malattie purtroppo la situazione non è migliore e la maggior parte dei farmaci che funzionano bene negli animali non sono utili a curare i pazienti. I modelli animali per le reazioni infiammatorie legate a sepsi, ustioni, traumi, i modelli di diabete, per lo studio delle dipendenze, i modelli transgenici per lo studio delle malattie cardiovascolari, si sono dimostrati ad esempio poco utili a comprendere queste condizioni umane, quindi a prevenirle e curarle.
“Negli ultimi tre decenni, i modelli murini di diabete di tipo 2 hanno prodotto oltre 50 pubblicazioni al mese; tuttavia, molti dettagli sulla patogenesi del diabete umano rimangono poco chiari, ostacolandone la prevenzione. Questa review indaga le ragioni di questa discrepanza traslazionale analizzando le prove sperimentali sui modelli murini di diabete di tipo 2. L’analisi ha rivelato differenze significative specie-specifiche ad ogni livello di regolazione del glucosio, dall’espressione genica / proteica, dalla segnalazione cellulare, al tessuto e dall’organo fino all’organismo intero, se confrontata con i dati acquisiti usando cellule, tessuti, organi e popolazioni umane. Data l’ampia barriera interspecifica che crea un divario traslazionale immutabile, è urgentemente necessario impiegare e sviluppare ulteriormente strategie di ricerca basate sulla biologia umana per poter progredire nella ricerca sul diabete di tipo 2”
Le cause principali di fallimento durante le fasi di sperimentazione dei farmaci sugli esseri umani sono l’inefficacia o le reazioni avverse, purtroppo a volte anche gravi e con conseguenze drammatiche.
Tali fallimenti sono stati attribuiti in buona parte all’inadeguatezza dei modelli animali. Gli animali spesso non sono infatti in grado di ricapitolare fedelmente le condizioni fisiologiche e le malattie umane, a cause delle differenze biologiche osservabili tra specie diverse. Inoltre le condizioni estremamente innaturali a cui sono costretti gli animali in laboratorio, lo stress causato dalle pratiche di routine e le modalità artificiali con cui vengono indotte le malattie, aggiungono ulteriore variabilità ai risultati degli esperimenti, creando anche problemi di riproducibilità, ovvero problemi ad ottenere i medesimi risultati nelle medesime condizioni.
“La correlazione tra le variazioni di espressione genica negli esseri umani e nei modelli murini di ustione, trauma e sepsi è scarsa. Suggeriamo di focalizzare la ricerca biomedica sulla complessità umana piuttosto che sui modelli murini per studiare le malattie infiammatorie” (Proc Natl Acad Sci U S A. 2013 Feb 26; 110(9): 3507–3512).
“Il nostro messaggio finale è che gli studi sperimentali sui topi transgenici
dovrebbero essere presi con cautela. Studi di associazione sull’intero genoma condotti su esseri umani suggeriscono che è improbabile che singoli geni spieghino più del 10% delle varianti di ipertrofia ed insufficienza miocardica. Riteniamo che altri sistemi sperimentali (in vitro) forniscano risultati uguali (e spesso migliori) di quelli ottenuti con i topi transgenici, nel campo della cardiologia”.
“Si può ipotizzare che i modelli animali di dipendenza non siano serviti a molto per la comprensione e nel trattamento della dipendenza negli esseri umani. È importante riconsiderare alcune convinzioni ampiamente condivise sulla natura del comportamento di dipendenza negli umani che sono sorte dallo zelo nel tradurre le osservazioni dagli animali da laboratorio all’uomo”
Manuela Cassotta
Biologa, Medical writer