Manuela Cassotta
Biologa, medical writer
Sono state oltre 500 mila le vittime animali sacrificate nei laboratori italiani soltanto nel 2018. Quasi la metà degli animali utilizzati sono stati sottoposti a procedure appartenenti a categorie di dolore moderato o grave. Alcuni esempi di queste procedure sono gli avvelenamenti con sostanze chimiche, farmaci e cosmetici compresi, induzione di peritoniti, tumori che causano malattia progressiva letale associata a dolore, angoscia o sofferenza di lunga durata, mutilazioni, infarti, fratture, nuoto forzato fino all’esaurimento, privazione di cibo, movimento e isolamento prolungati.
Per rendere l’idea in modo più dettagliato di cosa comporti una procedura di questo tipo, riporto solo tre esempi: uno dei modelli animali di sepsi oggi più utilizzati (modello murino di legatura dell’intestino e perforazione), il modello di dolore infiammatorio ed il modello di dolore orofacciale. La sepsi o setticemia è una rara complicazione di un’infezione, le cui conseguenze possono essere molto gravi e potenzialmente mortali. Consiste in una risposta infiammatoria eccessiva dell’organismo a un’infezione generalizzata che danneggia tessuti e organi compromettendone il funzionamento.
Senza una cura immediata può provocare la morte. Un modello murino di sepsi prevede il legamento di un tratto dell’intestino del topo e la sua perforazione con un ago, che grazie alla presenza di uno stent permette il rilascio di materiale fecale nella cavità peritoneale. Entro poche ore dall’intervento, gli animali mostrano i primi segni clinici di peritonite e sepsi: mobilità ridotta, deterioramento del pelo, febbre, sudorazione, riduzione dell’assunzione di cibo, perdita di peso e riduzione del comportamento di fuga.
Gli animali che sviluppano una peritonite grave con infezione sistemica normalmente muoiono entro 48 ore (J Vis Exp. 2010 Dec 18;(46):2299). I classici modelli di dolore infiammatorio includono invece l’iniezione nella zampa posteriore dei roditori di sostanze chimiche irritanti (ad esempio, formalina o carragenina), che producono una rapida risposta dolorosa caratterizzata da leccamento e scuotimento della zampa, vocalizzi e diminuite soglie di risposta agli stimoli termici o meccanici.
Il dolore neuropatico negli animali è classicamente modellato da interventi che causano un certo grado di danno ai nervi, come legatura o costrizione cronica (Arthritis Res Ther. 2017; 19: 146). Per simulare il dolore orofacciale si pratica incisione della regione infraorbitaria del ratto (sotto anestesia). Alcuni rami nervosi infraorbitari vengono legati ed un segmento distale alla legatura viene asportato. Dopo che l’animale ha recuperato dall’effetto dell’anestetico la zona dissezionata chirurgicamente viene esposta ad iniezioni di formalina per scatenare il dolore orofacciale. FIGURA 1. Legamento e perforazione dell’intestino di un topo per modellare la sepsi o setticemia FIGURA 2. Modello di dolore orofacciale nel ratto: incisione, legatura e asportazione di rami nervosi.
Ovviamente i modelli sopra descritti e le procedure sono in regola con le vigenti normative sul “benessere animale”. Non solo i roditori vengono sottoposti ad esperimenti che inducono grave sofferenza, ma anche conigli, cani, primati non umani, animali da fattoria, pesci, ecc. Alla sofferenza legata agli esperimenti si aggiunge quella associata alle condizioni di vita totalmente innaturali nei laboratori: ad esempio animali prevalentemente notturni come i topi e i ratti sono costretti ad una vita diurna, costellata da rumori ambientali, in condizioni di affollamento, mentre animali sociali sono costretti a condizioni di isolamento. Inoltre le pratiche di routine come la manipolazione, i prelievi di sangue o altri campioni biologici, la somministrazione forzata di farmaci attraverso le sonde oro-gastriche, causano notevole stress negli animali da laboratorio.
L’inserimento duna sonda attraverso la bocca fino allo stomaco (sonda orogastrica) è infatti un’abituale pratica a cui vengono sottoposti gli animali di laboratorio negli studi di farmacologia e tossicologia per permettere la somministrazione di farmaci o sostanze per via orale. Ratti, topi, conigli e primati non umani sono gli animali più spesso coinvolti. Di solito la pratica viene condotta senza alcuna sedazione (non è possibile sedare un animale quando lo studio richiede una somministrazione ripetuta ogni giorno o più volte al giorno per lunghi periodi).
La pratica implica la manipolazione e l’immobilizzazione forzata dell’animale e l’inserimento di un tubo di metallo rigido o di plastica flessibile attraverso la bocca fino allo stomaco. È indubbio che per quanto “regolamentata” la sperimentazione animale continui ad essere in molti casi una pratica che arreca grande sofferenza agli animali. La coscienza e la sensibilità dell’opinione pubblica verso questi aspetti stanno aumentando, lo dimostra ad esempio Stop Vivisection un’Iniziativa dei Cittadini Europei che ha raccolto più di 1.200.000 firme certificate di cittadini che hanno espresso la loro volontà di giungere a un cambiamento di paradigma nella ricerca biomedica e tossicologica, superando la sperimentazione animale. Ciò anche alla luce del fatto che la stessa scienza ha inequivocabilmente dimostrato che gli animali sono esseri senzienti in grado di provare emozioni simili a quelle umane (paura, angoscia, gioia, ecc.) e di provare dolore.
Non solo costi in termini di sofferenza e vite animali ma anche umane… Il problema etico non riguarda solo il benessere degli animali e la disumanità nei loro confronti. L’uso non scientifico, non necessario ed insensato della sperimentazione animale non ha a che fare infatti solo con la sofferenza animale: anche gli esseri umani soffrono, a causa di effetti avversi gravi, a volte persino fatali, che i test sugli animali spesso non sono in grado di prevedere, soffrono a causa della mancanza di terapie adeguate per molte malattie, e a causa dell’incapacità di comprendere a sufficienza e prevenire condizioni gravi, come ad es. il morbo di Alzheimer e altre forme di demenza.
Circa il 95% dei farmaci risultati sicuri ed efficaci negli animali non superano le successive fasi di sperimentazione sui volontari umani, per motivi di inefficacia o tossicità. Il campo della ricerca sul cancro e sulle malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer mostrano i più elevato livelli di fallimento. Per l’Alzheimer il tasso di fallimento è del 99,6%. Si deve anche riconoscere che i farmaci rigettati poiché si sono rivelati inefficaci negli animali potrebbero essere invece potenzialmente efficaci nell’uomo. Vi sono diversi esempi di ritardi nel progresso scientifico causati da una eccessiva fiducia nei risultati ottenuti sugli animali. Ad esempio per moltissimi anni si è continuato a credere che il fumo di sigaretta fosse innocuo – nonostante dati epidemiologici suggerissero che fosse causa di cancro al polmone – solo perché non era stata dimostrata la cancerogenicità del fumo nei modelli animali.
Quante persone nel frattempo si sono ammalate e sono morte di tumore a causa della cieca fiducia nel modello animale? Nella terza decade del XXI secolo, alla luce delle nuove conoscenze e delle tecnologie che oggi abbiamo a disposizione, non è accettabile che la ricerca si basi ancora su simili approcci, degni dei tempi di Cartesio. Concludo con una citazione attribuita a Upton Sinclair, illustre autore e commentatore, che avrebbe ricevuto il Premio Pulitzer per la narrativa e che si candidò (senza successo) per il governo della California negli anni ’30: “È difficile far capire qualcosa ad una persona, quando il suo stipendio dipende dal fatto di non capirla”.
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