di Stefania Corradini. L’università di Ferrara è nota per i cruenti esperimenti di neurofisiologia sui primati non umani, in specifico macachi, che comportano l’apertura del cranio, la penetrazione del cervello con elettrodi metallici al fine di registrare l’attività elettrica cerebrale durante manovre di afferramento di oggetti di varia forma e dimensione che nulla hanno a che fare con il comportamento etologico di questi animali in natura, e l’impianto di una videocamera sullo scalpo. L’intervento chirurgico dei vari impianti viene effettuato con una tecnica anestesiologica discutibile, già sottoposta a pesanti critiche, e l’intera procedura sperimentale manca di un requisito essenziale per essere considerata scientifica: la riproducibilità. La mancanza di riproducibilità viene riconosciuta dagli stessi ricercatori nelle loro pubblicazioni, forse dimenticando che differenzia la scienza dalla non scienza.
Al termine della sessione sperimentale l’animale viene sacrificato e il suo cervello sezionato, altro dato essenziale che rende questo tipo di sperimentazione non trasferibile all’uomo, oltre alle note differenze tra cervello umano e cervello di un macaco.
Nell’ultimo lavoro pubblicato, questi ricercatori hanno pensato di cambiare modello animale, riservando lo stesso trattamento – apertura del cranio e impianto cerebrale di dispositivo con microelettrodi – ad un uccello canoro, al fine di acquisire informazioni sulle malattie neurovegetative (Parkinson in particolare) e neuropsichiatriche umane! Un errore di interpretazione o di traduzione essendo l’articolo in inglese? Lo abbiamo sperato, ma purtroppo non è così. Viene spontaneo domandarsi: perché utilizzare un piccolo uccello come oggetto sperimentale per lo studio delle malattie neurologiche umane? In questo caso la parola “oggetto” è quella più appropriata perché questi ricercatori, e tanti come loro, evidentemente considerano questi animali non come esseri senzienti e quindi come “soggetti” a tutti gli effetti, ma come provette da laboratorio, pelose o pennute che siano.
Nell’articolo è riportato che sono stati scelti uccelli canori come modello di registrazione dell’attività elettrica cerebrale perché la loro area uditiva è simile all’area cerebrale umana deputata al linguaggio e all’udito. Sembra evidente che non occorre essere esperti ornitologi per capire quanto il cervello di un uccello e di un uomo siano diversi, anche solo considerandone il volume e peso, quanto diversi siano il linguaggio e l’udito. In sintesi, l’uccello (European Starling Songbird) viene anestetizzato con isofluorane (come, dal momento che l’isofluorane è un gas?) e urethane (iniettato dove, come?). La procedura anestesiologica non è descritta. Viene effettuata una craniotomia e impianto nel tessuto cerebrale un dispositivo con microelettrodi in grado di rilevare sia l’impulso elettrico sia la concentrazione di dopamina, dopo che una “serie di canti naturali dell’uccello vengono suonati in un ordine casuale all’uccello anestetizzato”. Da quel momento partono le registrazioni dell’attività elettrica cerebrale e la rilevazione delle concentrazioni di dopamina.
Sinceramente ci sfugge la finalità scientifica di questo tipo di sperimentazione e la sua utilità diretta all’uomo.
Da decenni sono disponibili tecniche neurodiagnostiche estremamente raffinate e non invasive applicate direttamente all’uomo, oltre a tecniche invasive a scopo terapeutico, come la stimolazione cerebrale profonda con cui è possibile curare vari tipi di malattie tra cui il Parkinson nei pazienti resistenti alle farmacoterapie. In questi pazienti si possono avere informazioni molto più utili e human-based. Inoltre l’anestesia altera gli impulsi elettrici cerebrali e il rilascio di neuromediatori con il meccanismo ancora sconosciuto rendendo i risultati ottenuti non attendibili.
Quasi contemporaneamente a questa pubblicazione ne usciva un’altra, ad opera di altri ricercatori, su Nature Neuroscience. La scoperta di un nuovo neurone nel cervello umano, chiamato Rosehip dalla sua forma, esistente solo sull’uomo e in nessun’altra specie animale. Questa scoperta, avvenuta studiando cervelli di donatori deceduti, apre nuove frontiere nello studio delle malattie neurodegenerative e neuropsichiatriche. L’articolo conclude: “Questo elemento differente punta anche l’attenzione sul fatto che il topo potrebbe non essere un buon modello per la ricerca, soprattutto in specifici disordini cerebrali che possono essere ricondotti ad elementi che caratterizzano soltanto il cervello umano”.
Dunque né il topo, né l’uccello, né la scimmia, né nessun altro animale. Il cervello di ogni specie animale è unico e diverso.
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