Cristiano Fant – Operatore Esperto in Etologia Relazionale Responsabile LEAL fauna selvatica
Il prossimo 14 ottobre in Abruzzo comincerà la caccia al cervo. Il piano di abbattimenti prevede il prelievo di 469 individui, cuccioli compresi.
Secondo quanto affermato da Emanuele Imprudente vicepresidente della regione, mandataria degli abbattimenti, tutto si svolgerà secondo le regole, con il benestare di ISPRA ed effettuato da personale altamente specializzato, non da semplici cacciatori. I selettori riceveranno anche un premio in denaro per ogni capo abbattuto, variabile a seconda dell’età e del sesso. Tanto, secondo lo stesso Imprudente, avviene anche in altre regioni.
La visione della regione risulta, come spesso accade, specista e interessata. Infatti l’abbattimento viene giustificato a conti fatti dei tantissimi incidenti stradali ed e i danni all’agricoltura occorsi in Abruzzo negli ultimi anni; due motivazioni queste, che hanno cause antropiche rilevate nella mancanza di corridoi ecologici e di adeguate strutture a tutela delle colture. Nei fatti, saranno i cervi a fare le spese delle mancanze dell’uomo, come sempre accade per ogni specie non umana. Va anche sottolineato come il cervo non sia facile da abbattere al primo sparo e che spesso fugga, trascinandosi ferito anche per giorni, soffrendo sino alla morte ed è eticamente inaccettabile che si realizzi consapevolmente tanta sofferenza, anche dal punto di vista normativo. Un’aggravante è data dal fatto che i selettori diventeranno di fatto dei mercenari e sappiamo bene quanto il denaro spinga a superare i limiti perché tipo della nostra specie. Chi garantirà che le cose vengano fatte nel rispetto delle regole in un ambito nel quale il controllore e il controllato vanno, come minimo a braccetto? Non è umano (ed uso questo termine nell’accezione più allargata) dare un prezzo alla vita di un essere vivente: questa formula ricorda quelle usate dai razzisti nei confronti degli schiavi neri nelle Americhe, lo stesso metodo veniva usato dal governo americano nel 1800 che pagava gli scalpi di uomini, donne e bambini dei popoli nordamericani.
Non è peraltro corretto che dei privati cittadini si arricchiscano grazie all’abbattimento e alla conseguente vendita della carcassa dell’animale (pratica in uso normalmente anche nella “normale” attività venatoria) un patrimonio dello Stato quale è l’animale selvatico, apparendo il fatto decisamente non legale. La regione Abruzzo scade, sulla scia di molte altre e preferisce affidarsi alle armi e al sangue anziché operare per la tutela di una specie simbolo del territorio, una specie che ha contribuito a creare turismo sul quale gli abruzzesi hanno costruito un mondo diventato esempio di convivenza con la biodiversità presente; un mondo oggi in veloce declino grazie a gestioni poco oculate quando non addirittura inguardabili. Guardando ai numeri relativi alla presenza degli individui sul territorio il numero dei soggetti per cui è concesso l’abbattimento nei comprensori interessati, appare decisamente elevato. Come sempre i censimenti non sono e non possono esser considerati una certezza, tutt’altro. Ancora una volta dovremmo guardare ai grandi carnivori come soluzione etica ed equilibrata ad un problema che abbiamo creato noi perché se i cervi sono in numero elevato (ed è tutto da comprovare) è grazie alla strage di predatori che la nostra specie ha realizzato sino ai primi del Novecento. In questi giorni si stanno organizzando diversi eventi di protesta sul territorio per dire no a questa strage che assume sempre più la forma di un evento ad uso e consumo di chi ne trarrà un personale vantaggio in termini di voti politici e denaro. Partecipare a tali eventi di protesta è importante per far sentire il peso della voce di chi non accetta che si dia sempre e soltanto voce alle armi per risolvere ogni problema perché la violenza, contro qualsiasi specie, non è mai accettabile.
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