LEAL ANIMALISMO: Il cane e l’aguzzino

LEAL ANIMALISMO: Il cane e l’aguzzino

Siamo grati ad Annamaria Manzoni, psicologa e scrittrice fortemente impegnata nella questione animale, che si è resa disponibile a collaborare con LEAL firmando un nuovo articolo di una serie di contributi periodici.

Priolo Gargallo, provincia di Siracusa, è la località dove si è consumato l’ennesimo episodio di ordinaria ferocia: un sessantenne ha legato con una catena al parafango posteriore della sua autovettura un cane e lo ha trascinato per kilometri, per poi fermarsi e gettare quel che restava di lui in un campo, a mo’ di spazzatura, mentre era ancora in vita: Matteo (questo il nome con cui ci si riferisce alla povera bestia) è morto poco dopo, ridotto a carne smembrata, sul tavolo del veterinario da cui era stato portato dai soccorritori.
La reazione di rabbia impotente davanti a tale scempio è acuita dalla certezza che, se due coraggiosi ragazzi non fossero stati testimoni della scena e non avessero avuto la prontezza di scattare foto che riprendevano anche il numero di targa dell’auto, il ritrovamento dei resti sarebbe stato giudicato immeritevole di ulteriore indagine, perché fatto di consueta malvagità, come dimostrano i resti di tanti animali ritrovati in discariche con segni di torture, ai quali solo nel migliore dei casi fa seguito un trafiletto su qualche notiziario locale.
Alcuni particolari devono ancora essere accertati, ma quello che è già stato documentato basta a generare, oltre all’orrore, alcune riflessioni. Poco importa se Matteo fosse il cane di nessuno, randagio come tanti; o invece, come raccontano, “appartenesse” al suo aguzzino che lo teneva legato in campagna, portandogli da mangiare e da bere quando capitava. Quale che sia la realtà, non cambia l’oscenità di un uomo che infierisce contro un essere incatenato e indifeso, indifferente alla sofferenza che urla sotto i suoi stessi occhi. Se anche non esiste motivazione al mondo che possa giustificare tanta protervia, l’assenza di qualsiasi “ragione” appare particolarmente drammatica: siamo di fronte al male allo stato puro: ingiustificabile, estremo, opera compiaciuta di una mente lucida; non uno di quei delitti d’impeto, generati da emozioni che, esondando, obnubilano i pensieri, ma massacro programmato e preciso.
Sarebbe interessante se il processo, che ci si augura venga celebrato, e presto, andasse a scrutare nel profondo la personalità di un tale uomo, alla ricerca del bandolo dell’oscura matassa della sua psiche; ma non succederà di certo, perché l’uccisione di un cane non è ritenuta degna di un impiego di mezzi tanto onerosi: consulenti, perizie, psichiatri non sono mai al servizio della giustizia dovuta a un animale. Con buona pace di tutti gli studi che mettono in luce il link comprovato tra la crudeltà agita sugli animali umani e quelli non umani. Il che significa che, anche in presenza di un colpevole disinteresse per le sofferenze di un cane, almeno la preoccupazione per gli umani dovrebbe spingere a ben diverse reazioni.
Sono comunque i fatti ad offrire una chiave di lettura, pur prescindendo dal meticoloso scandaglio dell’inconscio del colpevole: e i fatti parlano di una personalità in cui la violenza è evidentemente la modalità di relazione, il modo conosciuto per alimentare un ego bisognoso di autorassicurazioni sul proprio valore a fronte della sua stessa pochezza: valore che viene misurato sulla possibilità di ferire, tormentare, uccidere, perché questo è il modo miserando di affermare la propria superiorità. Una pochezza vile, dal momento che la vittima non è forte e pericolosa, ma debole e indifesa e il luogo quanto più isolato possibile, per vedersi garantita l’impunità. Se ogni persona è quella che è diventata coniugando il proprio patrimonio genetico con le vicende di tutta una vita, anche il sig. Antonio R. avrà pure una sua biografia su cui sono andati sistemandosi i tasselli della sua sadica viltà; conoscerli sarebbe utile per sapere cosa è necessario per sollecitare le parti peggiori di noi. Parti che, considerando la diligente precisione con cui ha portato a termine l’impresa, è lecito supporre che avranno già avuto modo di esprimersi nella vita del suddetto Antonio, perché le nostre mani così come la nostra mente non improvvisano ciò che non sanno e ciò che non sono: lo imparano, su altri corpi, su altre vittime.
Ma c’è dell’altro: perché gli atti privati sono sempre inseriti in un contesto e possiedono anche una portata sociale, come testimoniano tante situazioni, su cui forse non si riflette abbastanza: è da mezzo secolo che lo psicologo Philippe Zimbardo approfondisce gli studi che provengono da un famosissimo esperimento (“L’effetto Lucifero”; Stanford University, anni ’70), che dimostrò con evidenza come il contesto (in quel caso costruito ad hoc in una prigione) sia in grado di trasformare in brevissimo tempo le persone rendendole capaci di un male che non avrebbero mai previsto di poter compiere. E Primo Levi, reduce dallo sconvolgimento del lager, concentrato delle mostruosità che la mente umana può ideare, ha affidato alla pubblicazione de “I sommersi e i salvati” la scrittura di pagine preziose sulla considerazione che anche i peggiori criminali sono esseri umani tristemente ordinari, trasformati dalle circostanze: non mostri, vale a dire non quegli extraterrestri, su cui ci piace tanto gettare la responsabilità di quello che di noi stessi riteniamo inaccettabile, e che invece dimora come Ombra disconosciuta proprio nel fondo della nostra psiche, parte di noi che può restare silente o esplodere, a seconda delle situazioni. Ce ne vergogniamo e accusiamo qualcuno con cui non abbiamo niente da condividere, neppure l’appartenenza alla specie umana.
E altre ricerche che ci dicono che anche delitti che riteniamo individuali, totalmente attribuibili alla responsabilità di un singolo individuo, come la violenza sessuale, in realtà risentono di altre variabili che, sommandosi l’una all’altra, vanno a costituirne il brodo di cultura: variabili tra cui è davvero interessante scoprire che possono trovarsi, per esempio, attività lecite quali la caccia, insieme alla diffusione di media violenti e al numero di esecuzioni capitali (la ricerca è svolta negli Stati Uniti, dove , come è risaputo, è contemplata la pena di morte). In fondo la lezione un po’ siamo stati capaci di impararla: è da qualche anno che ogni episodio di violenza sulle donne non provoca solo la richiesta di una punizione adeguata del colpevole, ma risolleva ogni volta dibattiti e discussioni sulla necessità di contrastare la convinzione ancora diffusa, per quanto negata o misconosciuta, che vede nelle donne esseri su cui esercitare diritti autoconferiti.
Si comincia in altri termini a capire che il contrasto ai femminicidi non può prescindere dalla necessità di ridefinire la cultura dominante che resta ancora intrisa dei residui delle convinzioni esplicitamente espresse fino a pochi decenni fa, che, con il riconoscimento di cittadinanza al delitto d’onore, sancivano anche dal punto di vista giuridico la convinzione che non i diritti delle donne, ma la tutela dell’onore ferito maschile dovesse essere la vera preoccupazione. Pensiero che sopravvive sotto pelle e si riaffaccia, sotto mentite spoglie, nella motivazione di tanti comportamenti maschili.
Riflessioni di questo genere sono tutt’altro che estranee alla vicenda dell’aguzzino del cane Matteo: anzi, in questo caso il link è molto più diretto e comprensibile e coinvolge altri cani e altri aguzzini. A partire dal fatto che il piccolo paese in cui è stata portata a termine la tortura solo poche settimane prima era stato teatro, ad opera di responsabili rimasti ignoti, di sevizie a danno di un altro cagnolino inerme, prima torturato e poi impiccato. Pura coincidenza? Se si allarga lo sguardo, la visuale ingloba un territorio più vasto, che vede la Sicilia spesso in una posizione tutt’altro che lusinghiera in tema di tutela animale: nelle sue strade ospiterebbe (il condizionale è d’obbligo in assenza di censimenti) la bellezza di 100.000 randagi, triste primato europeo; mancano per loro adeguate strutture di accoglienza; le periferie delle città si trasformano spesso in discariche di cucciolate indesiderate e i canili fungono da depositi di cani dismessi. A parte la squalifica morale, questa situazione comporta uno stato di cose drammatico: gli animali a causa del loro stesso numero strabordante sono spesso considerati e trattati come pericolosi, quindi scacciati, presi a sassate o bastonate. Spaventati e in cerca di cibo, può succedere a qualcuno di loro di rendersi responsabile di un’aggressione a danno di una persona: e allora la reazione che era lì pronta ad esplodere trova una giustificazione ad hoc per scatenarsi, perché, se la vittima è pericolosa, allora del mio infierire non mi devo vergognare, ma posso anzi inorgoglirmi spacciandomi per difensore della collettività.
È all’interno di queste dinamiche che periodicamente si registrano avvelenamenti di massa, qualcuno incapace per la prepotenza dei numeri di sottrarsi ai riflettori dei media, come fu il caso delle decine di cani uccisi a Sciacca nel febbraio del 2018. Ma ci sono cronache ancora più spaventevoli che parlano di animali inermi che neppure tentano di sottrarsi all’infierire su di loro di umani furiosi, fino alla morte: la pur coraggiosissima abnegazione di tanti volontari non ce la fa a contrastare tutto questo. È necessario riflettere su come questo genere di situazioni rappresenti il brodo di cultura di comportamenti desensibilizzati: se la quotidianità è marcata dall’indifferenza verso animali in evidente difficoltà e stato di bisogno, se la cultura intorno, a partire dalle istituzioni, lungi dallo stigmatizzare, autorizza abbandoni, maltrattamenti, ingiurie, tutto si ammanta di normalità: sono di fatto rapporti di forza, prepotenza, violenza che, essendo tanto diffusi e non perseguiti, vengono interiorizzati e sdoganati come accettabili.
È ovviamente una dinamica che coinvolge solo parte della popolazione, a fronte dei molti che condannano, e ai cittadini (e soprattutto cittadine!) sensibili, di grandissima determinazione che lottano strenuamente contro questo stato di cose, pagando prezzi elevatissimi in termini di sofferenza psichica, e non solo. Ma, in una società civile, la strada non può essere quella di contare solo sull’eventuale appello all’empatia personale per contrastare un assetto che, nei fatti anche se non nella teorizzazione, sopporta e giustifica il male fatto a molti. E il male fatto agli animali è un problema enorme: la Sicilia, oggi sotto accusa per i fatti di Priolo, non ne detiene certo l’esclusiva, che anzi, a macchia di leopardo, investe tutte le parti d’Italia, ognuna con la propria specificità e con altre regioni (in primis Calabria, Sardegna, Puglia, Campania e non solo), dove il problema è enorme; ma è innegabile che la vastità del fenomeno la mette spesso sul banco degli imputati.
È in questa ottica che urge approvare leggi che sanzionino in modo adeguato i maltrattamenti a danno degli animali: finché le pene resteranno blande, torturare un animale sarà interiorizzato se non come lecito, comunque tollerabile, da derubricare nel nostro codice morale a crimine bagatellaro, perché di fatto tale è considerato nelle leggi: leggi indispensabili per stabilire delle norme che diventino col tempo anche morali. Contestualmente alla punizione, è basilare occuparsi della prevenzione, che ha inizio dalla sensibilizzazione della popolazione, a partire dalle fasce più giovani, al rispetto per le altre forme senzienti, dalla costruzione progressiva di una cultura in cui qualunque tipo di efferatezza nei confronti di un essere debole venga ripudiata, in cui la diffusa assenza di sentimenti di empatia verso la sofferenza corrisponda ad un allarme sociale, in cui la sensibilizzazione verso tutte le vite senzienti sia prioritaria in ogni progetto educativo.
Discorso non facile, certo, soprattutto in una terra in cui i diritti umani sono spesso calpestati dalle organizzazioni criminali; ma non si può cedere alla tentazione del benaltrismo, che, nell’affermazione che c’è ben altro di cui occuparsi e preoccuparsi, finisce per trovare giustificazione all’immobilismo: se le violenze, le ingiustizie, le crudeltà, contro chiunque espresse, sono considerate inevitabili o normali, il risultato non può che essere l’assuefazione, matrice di passività e indifferenza; la reazione è doverosa e non può limitarsi a rabbia, stigmatizzazione, furore reattivo.
Il cane Matteo giustizia non l’avrà mai: non esiste giustizia per lui, morto di una morte atroce senza nemmeno capire il perché, come succede ad ogni diseredato sulla faccia della terra, che strappa ogni giorno di vita con le unghie e coi denti perché la vita è l’unica cosa che possiede, per quanto umiliata e offesa. Il monumento in Park Lane, a Londra, dedicato ai milioni di animali coinvolti nella follia tutta umana della prima guerra mondiale, i monumenti a Roma e nei pressi di Catanzaro al cane Angelo randagio di Calabria torturato fino a morire da quattro ragazzotti sfaccendati, sono omaggi tutt’oggi rarissimi alle vittime animali della nostra violenza: non restituiscono loro neppure un alito di vita: sono però un monito a guardare dentro di noi per prendere atto dell’abisso di crudeltà di cui siamo capaci, e che nei confronti dei più miserabili, che sono più di tutti gli altri i nonumani, esprime il peggio di sé. Il recente sfregio alla statua di Angelo, a Roma, ci avverte che non è proprio il caso di peccare di ottimismo.

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LEAL ANIMALISMO: UCCIDE CON EFFERATEZZA IL CANE E LEAL FA UNA DENUNCIA

LEAL ANIMALISMO: UCCIDE CON EFFERATEZZA IL CANE E LEAL FA UNA DENUNCIA

Un altro grave e crudele fatto ai danni di un povero animale. A Rivoli, Torino, un uomo ha ucciso a coltellate il cane della compagna e poi gli ha dato fuoco. L’animale lo aveva morso ieri mattina intorno in via Vecco a Rivoli. L’uomo, 43 anni, è stato arrestato dai Carabinieri della Stazione Rivoli con l’accusa di resistenza, porto abusivo di armi e uccisione di animali. Quando sono arrivati i militari, infatti, ha aggredito anche loro insultandoli.
L’ufficio legale di LEAL rappresentato dall’avvocato Aurora Loprete ha inviato una Pec ai Carabinieri di Rivoli chiedendo i verbali di sopralluogo, il nome del cane e le generalità dell’autore del reato per poter sporgere immediatamente denuncia querela.
Gian Marco Prampolini, presidente di LEAL sottolinea: “Il continuo aumento di violenze, uccisione di animali e maltrattamenti nei confronti degli animali va fermato. Non smettiamo di fare campagne informative e di sensibilizzare le persone ma contestualmente le denunce non solo sono un atto dovuto per cercare di rendere giustizia alle vittime. Anche la nostra ultima campagna per chiedere a tutti di denunciare i reati di abuso e maltrattamento nei confronti degli animali andava in questo senso”.
https://leal.it/campagna-di-sensibilizzazione-leal-maltrattare-un-animale-e-un-reato-denuncia-la-violenza/
Fonte: → ANSA

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LEAL ANIMALISMO: IDENTIFICATO L’ASSASSINO DEL CANE DI PRIOLO GARGALLO LA NOSTRA DENUNCIA

assassino cane prioloL’atroce scena del crimine si è consumata a Priolo Gargallo (Siracusa) in Sicilia ieri 7 maggio. Un testimone ha visto e filmato un cane legato e trascinato da una Dacia Duster bianca, di proprietà di A.R.: commerciante della zona che era alla guida. A.R. nonostante i guaiti strazianti procedeva nella sua corsa mentre il ragazzo riprendeva la scena e ha tentato di fermarlo inutilmente e lo strazio è proseguito per km.
Quando l’assassino finalmente si è fermato ha minacciato il giovane e dopo avere staccato il cane dalla catena lo ha gettato oltre la carreggiata, dandosi alla fuga. Il cane ormai inerme è stato portato dal veterinario in condizioni strazianti: mandibola rotta, le quattro zampe fratturate, scarnificato e con le ossa abrase. Il povero cane dopo due ore dall’inizio della sua tortura si è spenta fra indescrivibili dolori.
Gian Marco Prampolini, presidente LEAL, dichiara: “Ci troviamo di fronte ad un delitto compiuto da un uomo che con crudeltà ed efferatezza ha sottoposto il povero cane a tortura protratta. Non si trovano le parole per esprimere la nostra indignazione e dolore e procediamo immediatamente a sporgere denuncia tramite il nostro legale avvocato Aurora Loprete nei confronti del colpevole che i video inchiodano alla sua responsabilità e a tempo debito ci costituiremo parte civile per avere giustizia. Come tutti ci auguriamo che la giustizia faccia il suo corso e chiediamo una condanna e una pena che, come è giusto, siano commisurate alla gravità di questo crimine commesso con predeterminazione”.
LEAL esprime sostegno e stima nei confronti dei testimoni che hanno avuto la prontezza di documentare i fatti, la forza di tentare di fermare l’assassino e il coraggio di denunciare il reato.
Gli animali non sono oggetti ma esseri senzienti e i crimini perpetrati nei loro confronti sono infiniti come abbiamo voluto anche documentare nel nostro Dossier → Rapporto sul maltrattamento animale in Italia
Come associazione continueremo a fare informazione e sensibilizzare per richiedere le modifiche del Codice Civile che riconoscano agli animali la dignità di esseri viventi e senzienti.


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La lotta di LEAL al maltrattamento continua anche in vacanza

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LEAL augura buone vacanze a chi ha a cuore il benessere e la tutela degli animali. Vi auguriamo di non vederne “delle belle” ma se vi dovesse
capitare di scoprire animali sofferenti e qualcosa che non va non delegate, non lanciate appelli a vuoto su fb. Voi siete lì sul posto a km zero: denunciate, intervenite, soccorrete! Un ritardo non cambia la vita ma per un animale in difficoltà può essere letale. SE TACI ACCONSENTI.
 Leggi e scarica gratuitamente 
→ Rapporto Maltrattamento Animale in Italia 2017
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CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE LEAL "MALTRATTARE UN ANIMALE È UN REATO: DENUNCIA LA VIOLENZA!"

CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE LEAL "MALTRATTARE UN ANIMALE È UN REATO: DENUNCIA LA VIOLENZA!"

Presentata ai media e ai sostenitori la campagna social di LEAL pensata per sensibilizzare le persone a riconoscere e denunciare il maltrattamento nei confronti degli animali. Sarà lanciata sui social in modo che possa diventare virale grazie al potere di coinvolgimento della rete. Il messaggio sarà veicolato grazie a una serie di sette immagini di animali di diversa specie con lo stesso slogan che caratterizza la campagna: “Maltrattare un animale è un reato. Non essere complice, denuncia la violenza! Tu li puoi difendere”.
Le foto selezionate pur non essendo troppo esplicite mostrano animali dei quali la posizione e le ferite oppure lo sguardo di paura, resa o sottomissione, colpiscono emozionalmente chi guarda. Lo scopo della campagna non è solo quello di creare consapevolezza, ma anche di convincere ad agire facendo leva sul senso di responsabilità di ogni cittadino che si trova di fronte a un abuso che crea sofferenza o morte di un animale e che è chiamato a intervenire e denunciare.
Questa campagna di sensibilizzazione di denuncia di reato nei confronti di un animale si integra in un progetto più vasto che parte dalla pubblicazione del “Rapporto sul Maltrattamento Animale in Italia 2017” patrocinato da LEAL e curato da Silvia Premoli e Giovanna Rossi.
Leggi e scarica gratuitamente il → “Rapporto sul Maltrattamento Animale in Italia 2017”
Il Rapporto, alla sua seconda edizione, è stato voluto per dimostrare con dati inconfutabili e sconvolgenti i reati emersi e riportati da media e social nei confronti degli animali e per supportare le proposte di modifiche di legge che il gruppo di lavoro di LEAL sta mettendo a punto con la collaborazione di legali e parlamentari per modificare nel nostro ordinamento lo stato degli animali: da “res” cose a esseri viventi e senzienti, come già avviene in altri Stati quali Svizzera e Francia. Questo adeguamento legislativo è un atto dovuto e consentirebbe di comminare pene certe e più severe per chi commette reati nei confronti degli animali.
La proposta di legge sarà poi sostenuta da una raccolta firme online e cartacea promossa da LEAL e lanciata con una successiva campagna stampa e social.
Sempre in tema di maltrattamento LEAL aderisce al progetto “Alla Radice della Violenza di Specie” ideato e promosso dal Centro Studi per la Legalità, la Sicurezza e la Giustizia presieduto dal dottor Marco Strano (Criminologo e Direttore Tecnico Capo – Psicologo della Polizia di Stato). L’importante iniziativa prevede anche la realizzazione di un manuale operativo per le Forze dell’Ordine, la Magistratura, gli operatori delle associazioni di tutela degli animali. Il manuale è presentato durante un cicli di incontri formativi nelle principali città italiane.
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CAMPAGNA LEAL DENUNCIA IL MALTRATTAMENTO 2
CAMPAGNA LEAL DENUNCIA IL MALTRATTAMENTO 1
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