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LA RICERCA DEL XXI SECOLO NON PUÒ BASARSI SU UNA VISIONE LIMITATA E RIDUZIONISTA DELLA BIOLOGIA

Set 2, 2022 | Vivisezione

La principale giustificazione alla base dell’utilizzo degli organismi modello è che questi hanno in comune con noi un’alta percentuale di geni. E’ vero che i topi condividono con noi circa il 90% dei geni. Ma ciò è veramente sufficiente a giustificare l’utilizzo di questi (ed altri) animali quali modelli per studiare le malattie umane e testare i farmaci?

Con il sequenziamento dei genomi e gli sviluppi delle tecniche di sequenziamento ad alto rendimento, nei campi dell’epigenetica e della genomica, si è verificata una rivoluzione nella concezione della biologia, passando da una visione unidirezionale e limitata dettata dal così detto “dogma centrale della biologia molecolare” dove la sequenza dei nostri geni determinava in gran parte chi siamo e come rispondiamo, ad una visione più globale dei sistemi viventi, che vede quali attori non più solo i singoli geni, ma interi sistemi di reti di geni, interagenti in modo dinamico tra loro e con l’ambiente circostante.  Lo sviluppo e il funzionamento di un organismo, il suo stato di salute o di malattia non dipendono cioè solo dalla sequenza di geni nel suo DNA, ma anche e soprattutto da stimoli che agiscono sulla architettura della doppia elica e sull’accensione e lo spegnimento di questi geni, senza modificarne le sequenze. A questo insieme di processi è stato dato il nome di “epigenetica”. Lo stesso gene inserito in un contesto può comportarsi in modo completamente differente quando si trova in un contesto diverso! Solo una piccola percentuale del DNA (circa il 2%) codifica per proteine, mentre il restante 98%, quello che un tempo veniva chiamato “DNA spazzatura” poiché non se ne conosceva ancora la funzione, è deputato a processi di regolazione dell’accensione e spegnimento di geni.

Alla luce di ciò, si comprende quanto sia superficiale e fuorviante giustificare la presunta similitudine tra organismi modello e pazienti umani basandosi sulle percentuali di geni condivisi.

Un importante studio pubblicato nel 2013 sulla rivista scientifica internazionale PNAS dimostra che le risposte genomiche verso gli stress infiammatori acuti di diverse origini (trauma, ustioni, sepsi) differiscono significativamente tra topi ed esseri umani. Questo significa in parole semplici, che ad esempio i geni che si “accendono” nell’essere umano dopo specifici insulti infiammatori, vengono invece “spenti” nei topi, e viceversa. Ciò ha ovviamente importanti conseguenze e ripercussioni sulle risposte a malattie e farmaci, considerando che l’infiammazione è un elemento presente in moltissime patologie, da quelle cardiovascolari al cancro.

Alla luce delle nuove conoscenze si comprende anche che inserire dei geni umani in un topo per cercare di rendere il topo “più simile” all’uomo, o eliminare un gene nel modello animale sperando così di replicare una malattia tipicamente umana, non ha molto senso dal punto di vista scientifico.

Pensiamo anche all’assurdo di quando l’uso dell’animale in questione viene rivendicato per la sua presunta capacità – rispetto ai sistemi in vitro – di rappresentare la complessità di un organismo intero, quasi al pari di un piccolo paziente peloso.

Credere a questo significherebbe non tenere conto delle nuove conoscenze e rimanere ancorati ad una visione parcellizzata e riduzionista della biologia, che vede i viventi semplicemente come la somma di più parti separate, piuttosto che come un essere complesso.

E’ vero che anche i metodi in vitro soffrono ancora di questi problemi ma è anche vero che mentre la biologia del topo non si può cambiare ed un topo rimarrà sempre tale, i sistemi in vitro ed in silico, nonché le tecnologie al servizio di tali approcci, sono in rapido e continuo progresso, offrendo sempre più opportunità per una ricerca scientifica etica ed al passo con i tempi.

Non dobbiamo inoltre dimenticare che questi modelli innovativi possono e dovrebbero sempre essere integrati con gli studi non invasivi sui pazienti, che oggi più che mai sono realizzabili grazie al continuo progresso nelle nuove tecnologie.

Manuela Cassotta
Biologa, medical writer

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