22 aprile Giornata Mondiale della Terra. Il Pianeta va salvaguardato, siamo tutti d’accordo, ma le guerre e le occupazioni armate che imperversano danneggiano la Terra in modo irreversibile. Nessuno chiede l’abolizione o la drastica riduzione dell’industria bellica, non l’agenda 2030 e non chi promuove la green economy. Eppure niente e nessuno impatta e devasta l’ambiente come le guerre.
La sola guerra in Ucraina e l’invasione armata della Palestina hanno causato una devastazione ambientale senza pari che si estende a tutte le forme di inquinamento: dell’aria, del suolo, dell’acqua. Sono state distrutte foreste e riserve naturali oltre che infrastrutture, con conseguenti emissioni di gas serra e sostanze chimiche tossiche. La biodiversità, la fauna, la flora e le risorse naturali ne sono state irrimediabilmente danneggiate.
Nella sola Striscia di Gaza, l’occupazione ha prodotto emissioni di CO2 pari a quelle delle emissioni annuali della Nuova Zelanda e superiori a quelle di 135 Paesi e territori. Le operazioni militari hanno causato inquinamento delle acque e la sospensione degli impianti di trattamento e stazioni di pompaggio dell’acqua. Inoltre, la guerra ha portato a una grave crisi ambientale con conseguenze sanitarie devastanti, probabilmente per i decenni a venire. L’aumento delle temperature sta esacerbando la desertificazione e la scarsità di acqua e terra.
In Ucraina, la guerra ha rilasciato nell’atmosfera la stessa quantità di anidride carbonica prodotta in un anno dall’intero Belgio. Almeno il 20% del territorio nazionale è contaminato da mine antiuomo, che rilasciano sostanze tossiche e rendono impossibile la coltivazione, mentre il 32% dei boschi (600.000 ettari) è interessato da incendi e abbattimenti deregolamentati.
Chi ha a cuore il Pianeta continuerà a evitare ogni forma di sfruttamento di tutte le forme viventi e delle risorse, ma se spegniamo la luce per risparmiare energia non dobbiamo spegnere i riflettori sui Signori della Guerra.
LEAL INCONDIZIONATAMENTE DALLA PARTE DEGLI ANIMALI, DELL’AMBIENTE E DEL DISARMO
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La Milano Fashion Week è un evento importante nel mondo della moda, ma recentemente ha ricevuto attenzione per le preoccupazioni legate all’impatto ambientale e al benessere animale. In questi giorni sulle passerelle milanesi sfilano le collezioni di moda per l’autunno inverno 2025. Alcuni marchi sono stati criticati e sono criticati perchè incrementano il commercio di pellicce. Ancora tanto c’è da lavorare e sensibilizzare il pubblico e i produttori, non solo per l’uso di pellicce di animali ma anche per altri materiale quali: la lana, la seta, la piuma e la pelle. Ci dobbiamo impegnare per diffondere consapevolezza supportati anche da una crescente richiesta da parte del pubblico di una produzione più etica e sostenibile nella moda, che tiene conto del benessere degli animali e dell’ambiente.
Alcune case di moda, tra questi Max Mara purtroppo ancora sostengono il crudele commercio di pellicce. Molti brand invece sono stati d’esempio e hanno abbandonato l’uso delle pellicce. Tra questi abbiamo Prada, Versace, Valentino e Dolce & Gabbana, Giorgio Armani, Versace, Prada, Miu Miu, Church’s, Car Shoe,Alexander McQueen e Balenciaga che hanno annunciato l’abbandono dell’uso delle pellicce animali nelle loro collezioni, supportando così una moda più etica e sostenibile. Anche Gucci ha eliminato le pellicce introducendo purtroppo l’utilizzo della pelle di animali esotici allevati e uccisi crudelmente. Questa scelta deplorevole è stata al centro di proteste di attivisti durante la settimana della moda milanese della collezione primavera estate 2024
Tuttavia questo a chi difende i diritti degli animali, l’ambiente e l’ecologia della mente e delle proprie scelte la sola abolizione delle pellicce non può e non deve bastare.
La produzione di lana è associata a pratiche crudeli verso gli animali. Ad esempio, il mulesing è un metodo crudele in cui la pelle delle pecore viene strappata via senza anestesia, per prevenire la crescita della lana in quel punto. Questa pratica è diffusa in molte parti del mondo, in particolare in Australia, il principale produttore di lana. Oltre al mulesing, ci sono altre forme di maltrattamento verso le pecore impiegate per la produzione di lana, come la tosatura in condizioni disumane.
La seta a sua volta impatta sugli animali, in quanto il processo di produzione comporta la bollizione dei bozzoli del baco da seta che uccidendo i bachi. Tuttavia, esistono alternative sostenibili e biodegradabili di origine vegetale alla seta: la seta di loto, la seta di ananas, la seta di cactus e il cotone sateen.
Ormai è noto a tutti che la produzione di piume d’oca è associata a pratiche crudeli. Le oche vengono sottoposte a spennature dolorose e talvolta letali per ottenere le piume. Questo processo avviene in diversi paesi ma i maggiori produttori sono principalmente la Cina, la Polonia e l’Ungheria. Le piume d’oca possono essere sostituite con materiali sintetici, riducendo speriamo fino alla totale sostituzione le piume d’oca e le conseguenti queste pratiche crudeli
Come per tutti i materiali di origine animale anche la produzione di accessori e abbigliamento in pelle è associata a varie forme di crudeltà nei confronti degli animali. Per evitare lo sfruttamento animale e per ridurre l’impatto negativo sull’ambiente molte aziende stanno adottando materiali alternativi e vegani per la produzione di scarpe,accessori moda e casa e abbigliamento: l’Alcantara, la microfibra e la finta pelle ma anche materiali vegetali che includono il sughero, la canapa, il cotone e materiali innovativi ricavati dalla buccia della frutta, come l’ananas, la mela, l’uva e la banana. Materiali molto belli esteticamente e sempre più utilizzati nella moda per la produzione di scarpe, borse, cinture e altri accessori.
LEAL sostiene e diffonde un consumo critico anche per quanto a moda vegan e senza crudeltà che si impegna a che escludere completamente i materiali di origine animale e ad utilizzare materiali e processi che non siano testati sugli animali e rispettino l’ambiente.
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Nel 2019, 77,4 milioni di tonnellate di carne delle sei principali specie animali allevate per il consumo umano sono andate perse lungo la filiera alimentare, provocando morti inutilmente. Per lo più, tra atroci sofferenze L’umanità consuma ogni anno 360 milioni di tonnellate di carne. Ogni giorno – cioè ogni 24 ore – vengono uccise 1.4 milioni di capre, 1.7 milioni di pecore, 3.8 milioni di maiali, 11.8 milioni di papere (come quelle che ammirate con i vostri figli al giardinetto vicino a casa), 202 milioni di polli ossia 140.000 al minuto, centinaia di milioni di pesci e mammiferi marini, e circa 900.000 mucche. È stato stimato che se ogni mucca macellata per il consumo umano ogni giorno fosse lunga 2 metri e camminassero una dietro l’altra, la fila .si estenderebbe per 1800 chilometri
Numeri enormi, che assumono un peso ancora maggiore se pensiamo che una buona parte della carne ricavata da questi animali finisce poi nella spazzatura. Nel 2019, infatti, 77.4 milioni di tonnellate di carne delle sei principali specie animali allevate per il consumo umano, sono andate perse e sprecate lungo la filiera alimentare il che corrisponde a 18 miliardi di animali morti inutilmente e, per lo più, tra atroci sofferenze.
Vista da un’altra prospettiva, è come se ogni cittadino medio avesse gettato nella spazzatura 2,4 animali dopo averli fatti macellare. I numeri includono gli animali persi in qualsiasi punto della catena di approvvigionamento: da quelli morti prematuramente negli allevamenti o durante il trasporto al macello, durante la lavorazione o nei ristoranti, nei negozi di alimentari e dai consumatori.
Ignorare l’impatto della produzione globale di carne è un errore di cui abbiamo già iniziato a pagare le conseguenze. Secondo la Fao l’industria zootecnica è responsabile del 14,5% delle emissioni di gas a effetto serra oltre a contribuire al degrado del suolo e all’inquinamento.
L’Oecd ha collegato l’allevamento di maiali all’inquinamento di fiumi, laghi e falde acquiferevisto che non è raro che i reflui vengano gestiti in maniera errata dalle aziende.
L’importanza di una scelta alimentare etica per la tutela degli animali, dell’ambiente e della salute non sottrae risorse quali terre coltivabili e acqua, ad esempio, ad altre popolazioni.
Foto Jo.Anne McArthur
Fonte La Svolta
LEAL sceglie e diffonde un’alimentazione vegetale e uno stile di vita vegan nel rispetto di ogni forma di vita.
Oggi, martedì 21 novembre, in Italia si celebra la Giornata nazionale degli alberi, una ricorrenza che nasce allo scopo di valorizzare il ruolo fondamentale che boschi e foreste svolgono per il nostro ecosistema.
In Italia periodicamente viene effettuato periodicamente l’inventario forestale italiano, a cura prima del Corpo Forestale dello Stato ed ora del Comando Unità Forestali, Ambientali e Agroalimentari dell’Arma dei Carabinieri (CUFA). Recentemente sono stati resi disponibili i dati del Terzo Inventario effettuato (INFC2015) ed il Rapporto che ne illustra metodologie e risultati.
Complessivamente a livello nazionale risultano 11 milioni di superficie forestale complessiva pari al 37% del territorio nazionale. 3,5 milioni di ettari sono inseriti in aree protette (32%).
LEAL difende il nostro ambiente facendo scelte sostenibili, e ricorda che alberi e foreste sono i nostri polmoni e sono i garanti della biodiversità. Purtroppo sono costantemente minacciati da opere pubbliche non necessarie, edilizia, allevamenti, e da piromani che a vario titolo rappresentano vari interessi di categoria. Sta
alle aziende assumere un ruolo guida adottando pratiche sostenibili, investendo in agricoltura responsabile e a noi cittadini essere consapevoli e rispettosi del patrimonio naturale che dobbiamo preservare a tutti i costi anche con scelte e consumi anche alimentari consapevoli partecipando attivamente alle politiche di conservazione.
Il granchio blu granchio reale blu o granchio azzurro è un crostaceo di una specie autoctona (portunidi) delle coste atlantiche del continente americano. Nei nostri mari è arrivato grazie alle navi in transito e già da molti anni si è rapidamente diffuso. Da qualche decennio è noto che il granchio blu ha invaso il mare Mediterraneo, ma solo oggi questo problema si è trasformato in una calamità, questo perché sta intaccando gli interessi economici degli allevatori di vongole e di pescatori. Da qui a gridare al pericolo è un attimo: ci si infila il grembiule da cucina, si brandisce la padella e si cucina il malcapitato granchio blu anche in diretta televisiva. I politici, chef improvvisati, ne approfittano per ottenere visibilità e consensi.
Alberto Luca Recchi, esploratore, scrittore, fotografo documentarista del mare italiano, ha spiegato in un’intervista andata in onda sui media nazionali: “La natura non fa sorprese, è solo l’insieme di chimica, fisica e biologia. In genere le specie convivono in equilibrio tra prede e predatori. In Atlantico, dove viveva il granchio blu, c’era sempre l’animale che lo mangiava. Talvolta allo stato larvale, talvolta allo stato adulto. Tartarughe, pesci, polpi e uccelli sono ghiotti di granchi blu. Ma noi abbiamo fatto fuori i suoi predatori uno dietro l’altro e ora ci lamentiamo”.
Oggi i nostri mari sono mari sono stati saccheggiati. Le attività di pesca si sono approfittate della fauna marina senza ritegno e la politica li ha lasciati fare indisturbati con attività di pesca senza freni. A questo proposito gli esperti informano che una numerosa popolazione di polpi sarebbe un buon rimedio naturale per ripristinare un equilibrio perché questi i crostacei alloctoni perché sono ghiotti di granchi. Purtroppo i nostri mari sono pressoché svuotati dai polpi visto che vengono sterminati per essere cucinati.
LEAL ricorda che il rispetto per ogni forma di vita parte dal rispetto della natura, degli ecosistemi e da scelte alimentari che ormai sono diventate irrimandabili. Una dieta vegan eviterebbe lo spaventoso depauperamento dei mari causato dalla pesca commerciale e salverebbe decine e decine di milioni di animali marini riconosciuti come esseri senzienti in grado percepire dolore, paura e stress.
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