20 Nov, 2020
È online l’ultimo numero della nostra rivista “La Voce dei Senza Voce” n. 118 2020 con i contributi di: Gian Marco Prampolini, Daniela Di Giacomo, Evelina De Ritis, Giovanna Tarquinio, Silvia Premoli. Buona lettura.
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Nella rivista: L’editoriale di Gian Marco Prampolini
Presidente LEAL
IGNORANZA E CIECA VIOLENZA
Cari soci e simpatizzanti, nel corso di questo anno abbiamo dovuto adattarci a nuove situazioni al fine di fronteggiare al meglio questo “mostro virale” chiamato Covid-19.
Anche gli animali lo hanno subito in tutto e per tutto: a seguito di farneticanti supposizioni, secondo le quali si sosteneva che loro fossero i veicoli di questa pandemia, si è avuto come conseguenza un tragico susseguirsi di abbandoni e stragi di animali da compagnia. Questa sconsiderata reazione di persone che hanno agito insensatamente ha portato danni di vasta proporzione!
L’ignoranza è la madre della crudeltà. Le leggi messe in atto, che limitavano i movimenti e gli spostamenti nel territorio, hanno generato le problematiche alle quali sono andate incontro le gattare delle colonie nonché i volontari delle associazioni, privati compresi, per accudire e portare cibo ai randagi. Queste persone sono da considerare a tutti gli effetti dei veri e propri angeli custodi delle creature, di solito escluse dall’interesse comune nei casi di calamità, trovatisi a compiere sacrifici personali a livello economico in aggiunta alle difficoltà per gli spostamenti.
Noi come LEAL siamo intervenuti in loro aiuto, rilasciando autocertificazioni per eventuali controlli e inviando comunicati indirizzati ai vari Sindaci affinché potessero svolgere le loro attività, con l’obiettivo di far valere diritti legalmente riconosciuti.
In quest’ultimo periodo stiamo assistendo ad un susseguirsi di eventi che hanno ulteriormente incrementato da parte dell’uomo la cattiveria e la violenza cieca verso gli animali.
Un caso eclatante è relativo alle ordinanze emesse dalla Provincia di Trento contro gli orsi, a seguito delle quali sono stati perseguitati, catturati e reclusi in anguste gabbie, all’interno di un’area del Centro Faunistico Casteller. Questi poveri orsi stanno vivendo una grande sofferenza, non solo fisica, ma anche psicologica a causa della loro reclusione. Le ordinanze non hanno tenuto conto che la captivazione è una condizione inconciliabile con il benessere animale, nella fattispecie di animali che per natura hanno bisogno di muoversi in grandi spazi. Voglio ringraziare personalmente i nostri legali che, con il loro impegno, hanno permesso di portare alla luce notizie che dovrebbero essere di pubblico dominio, soprattutto per questa realtà celata dalla vergogna.
Credo che in gabbia meriterebbero di finirci i cacciatori, che con la loro attività distruttiva del patrimonio faunistico, causano non solo la morte di animali indifesi, ma anche la morte di decine di persone, cosa che gli orsi non fanno.
Ma la cattiveria colpisce anche altri animali: è il caso drammatico del gattino ucciso a calci da un minorenne, che dopo aver filmato l’atto terribile, ha postato orgoglioso il video sui social per ottenere maggiori visualizzazioni e consensi.
Ci spostiamo poi a Roma che, sotto gli occhi inorriditi della gente presente e dei veterinari (accompagnati dalle Forze dell’Ordine) si è assistito al tragico spettacolo di una madre cinghiale con i suoi cuccioli morti all’interno di un parco giochi; la famigliola stava cercando un rifugio e la macabra decisone dell’uomo è stata quella di “risolvere il problema” uccidendoli.
Al di là di questi casi sporadici che fanno notizia all’interno dei fatti di cronaca, non dobbiamo mai dimenticare ciò che quotidianamente, in ogni minuto, milioni di animali subiscono come “normali” violenze. Siamo ancora quindi lontani dal ritenerci delle persone evolute.
Con grande rammarico voglio rivolgere un ultimo pensiero al piccolo Oscar, un gattino randagio che, a causa dell’indifferenza e incuria umana, è diventato cieco a seguito di una gravissima infezione per la quale i veterinari hanno dovuto asportargli occhi. Oscar, grazie alla nostra iniziativa “RottaMiao” ora è in un luogo tranquillo dove viene curato con amore nella speranza di fargli iniziare una nuova vita. È un micio spettacolare che ha tanta voglia di vivere nonostante la sua triste storia, ma ha bisogno di trovare una famiglia con la effe maiuscola!
Ringrazio tutti coloro che ci sostengono, riconfermando la fiducia nel nostro costante impegno, un supporto fondamentale dato alla LEAL, che ci consente di portare avanti le nostre battaglie ed iniziative a favore degli animali combattendo contro l’ignoranza e la cieca violenza.
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Buone festività a tutti!
Incondizionatamente dalla parte degli animali.
14 Ott, 2020
Testo di Giovanna Tarquinio
Nel corso dei secoli l’uomo ha alterato la natura per adeguarla alle sue necessità, manipolando il mondo vegetale e quello animale, creando nuove specie oppure potenziandole, vedi le super mucche naziste che vagano nei boschi, create da scienziati folli. Ma i mostri che crea la scienza moderna vanno ben oltre a quelli del passato. Stiamo entrando in un mondo nuovo, popolato di mostri, dove uomo e macchina diventano un tutt’uno come i cyborg, dei robot che potrebbero cambiare tutto. Le stampanti in 3D sono il cuore dei progressi compiuti nel campo della medicina. Esse consentono di poter stampare, velocemente e personalizzati, arti e organi artificiali umani per sostituire quelli danneggiati o mancanti, una vera fabbrica di produzione. Una tecnologia diffusa e dirompente, in grado di proteggere il corpo umano, per sopperire a vari casi, come i danni muscolari o più gravi di paralisi, con l’esoscheletro, un’apparecchiatura che indossata dal paziente, gli consente di riprendere mobilità, come il camminare e l’alzarsi, donandogli una vita migliore. Ma se ulteriori potenziamenti di questa tecnologia fosse finalizzata per creare esseri umani potenziati?
Gli scienziati stanno puntando a riprodurre perfettamente tessuti umani, tramite biopsie di cellule del corpo umano, per ovviare il rigetto. Ma fino a che punto un uomo potrà considerarsi ancora tale, se le parti del suo corpo saranno artificialmente ricostruite? Avremo individui in parte mostri e in parte umani avendo un corpo con parti trapiantate, come ad esempio una testa di un altro corpo? Esperimenti di questo tipo sono stati iniziati anni fa dal dottor Robert J. White che sostituiva le teste di primati, dall’uno all’altro corpo, con esperimenti crudeli che sottoponevano gli animali a lunghe e atroci sofferenze, rimanendo paralizzati, senza ottenere alcun successo. Questo moderno Frankestein venne poi insignito con onore dall’Accademia Pontificia delle Scienze dall’allora Papa Giovanni Paolo II.
Avere a disposizione una tecnologia sempre più avanzata non significa che sia sempre ragionevole utilizzarla. Eppure c’è un medico ad un passo dall’eseguire un impianto di testa umana su un altro corpo, il chirurgo Sergio Canavero, che ha trovato il primo paziente volontario. Un uomo nato con una rara forma di atrofia muscolare, disposto ad affrontare un intervento chirurgico altamente rischioso, impiantando la sua testa su un altro corpo, in quanto la sua situazione fisica sta peggiorando, pare sia l’unica soluzione possibile, pur calcolando il grandissimo rischio. Un esperimento utopistico o pura follia? Ma una persona così potrà essere considerata umana con una testa impiantata in un corpo costituito da parti interamente artificiali, come vediamo nei film di fantascienza? Qual è il confine fra uomo e mostro?
Circa 4 milioni di anni fa, l’uomo ha iniziato a sopravvivere fino a tutt’ora, con le tecnologie moderne, ma alterando l’evoluzione stessa, con esperimenti scientifici che superano quelli di Frankestein, oltrepassando quelle linee che separano l’uomo da un mostro. Possiamo alterare la natura finché siamo in grado di farlo, modificando i corsi dei fiumi, creando un’isola, selezionando varietà animali e piante con la genetica. In sostanza ci sostituiamo a Dio o stiamo sfruttando la nostra intelligenza nel modo peggiore mettendo a rischio la sopravvivenza dell’umanità, della natura e a che prezzo?
Anche la Natura nel tempo si è modificata attraverso un meccanismo evolutivo che Darwin ribattezzò “selezione naturale”. La differenza sta nel fatto che l’uomo sta compiendo una selezione artificiale e tutto quello che portiamo sulle nostre tavole è il risultato di tale processo, come fecero i nativi americani che trasformarono un’erba in mais. Gli americani sono arrivati a trasformare un modesto uccello in un pollo che, prima del conflitto mondiale, veniva allevato solo per la produzione di uova. Durante il conflitto, questo pollo diverrà l’alternativa più redditizia alle esigenze alimentari, trasformandolo in un super-pollo, tramite delle selezioni e altri interventi mirati, per cui oggi il 98% del pollo che consumiamo, non è altro che il risultato di un pollo geneticamente modificato e uniformato, rispetto alle varietà naturali. Anche una grande varietà di cibi che consumiamo sono stati geneticamente modificati rispetto a quelli naturali e possiamo anche discutere se ciò sia giusto o sbagliato, ma tant’è.
Per parlare di creare i mostri, dobbiamo guardare al nostro recente passato, per incontrare i risultati di alcuni esperimenti scientifici davvero inquietanti. L’uomo che utilizza la tecnologia, con l’intento di dominare la natura piegandola al proprio volere per farlo, non si pone certo scrupoli. La conseguenza è che il numero di mostri artificiali, sia umani che animali, è in continua crescita, avendo raggiunto la possibilità di ricorrere alla genetica, ma non tutti gli esperimenti che producono nuovi risultati, possiamo garantire di averne il controllo. Di fronte a certe scoperte bisognerebbe appellarsi al buon senso, ponendoci sempre il dubbio se può servire per qualcosa di buono o può invece essere finalizzato a degli scopi malvagi. Le nostre conoscenze sono relativamente limitate sui possibili effetti futuri dei nostri interventi sulla natura e alcune creazioni possono avere conseguenze indesiderate o disastrose. Ciò che è avvenuto in Gran Bretagna dove un allevatore accudisce delle mandrie di mucche speciali, create dall’uomo, dotate di una forza fisica indotta tale che potrebbero ucciderlo in qualsiasi momento. Un animale mite e tranquillo è proprio la mucca ma queste sono dei veri mostri. Sono i cosiddetti “bovini nazisti”, discendenti da esprimenti genetici, realizzati per volontà di Hitler, che voleva riportare in vita una specie ormai estinta di animali feroci: gli euri. L’euro è l’antenato del bovino moderno, diffuso in Europa fino al XVI secolo allo stato brado. Gli scienziati tedeschi, incrociando le mucche con i tori spagnoli da combattimento, ha riportato in vita questa nuova specie ribattezzata “bovino di Heg” ancora molto più aggressiva. I bombardamenti degli alleati avevano sterminato la maggior parte degli allevamenti di queste mucche e alcuni esemplari sono sopravvissuti nello zoo di Monaco e alcuni loro discendenti si trovano in Gran Bretagna a Derekgo. I letali bovini nazisti avrebbero dovuto farci comprendere qualcosa in merito al pericolo di voler riportare in vita specie animali estinti, ma l’uomo non impara dall’esperienza, la storia lo insegna.
Il monito di usare il buon senso, non ha impedito ad altri scienziati di cercare di resuscitare uno dei mostri estini fra i più grandi della storia: il mammuth lanoso. Possedendo un ottimo campione di DNA di mammuth stanno pensando di poter dare vita ad una nuova varietà di elefante molto simile al mammuth lanoso, ma perché mai dovrebbero farlo? La risposta la fornisce un biologo che vive in Siberia, convinto che questo mammuth possa risolvere le conseguenze disastrose del cambiamento climatico nelle gelide terre come la Siberia. Allevandone a migliaia essi si nutrirebbero di permafrost, minacciato di scomparire in seguito all’innalzamento della temperatura, dovuta al cambiamento climatico. Il permafrost è un materiale organico racchiuso nel terreno, che se dovesse marcire a causa del disgelo, consentirebbe all’anidride carbonica e ai gas metano di disperdersi nell’atmosfera, con conseguenze terribili per l’ambiente. Che ruolo allora rivestirebbero i mammuth? Con il loro pesante calpestio di muschi, arbusti e di alberi per cibarsi, manterrebbero la steppa produttiva di erba, la quale assorbe meno luce solare rispetto agli alberi ed il terreno di conseguenza assorbirebbe meno calore assicurando così il mantenimento del gelo che ingloba il carbonio e gas nel sottosuolo. Questa è la teoria ma a quali conseguenze andremmo incontro, liberando queste enormi mandrie di animali scomparsi da milioni di anni, se si rivelassero dei mostri distruttivi?
Al paleontologo Jack Horner del Montana un giorno capitò di trovare alcune rare uova fossili di dinosauro ancora nel nido e da allora ha iniziato a dissotterrare i resti di creature estinte, interessato a ricreare una nuova specie di dinosauro ben più grande del mammuth lanoso. Convinto che i dinosauri erano animali socievoli e incurante del monito che ha ispirato il film di fantascienza, tra i più terrorizzanti mai visti: “Jurassic Park” del 1993 tratto dal romanzo fantascientifico di Michael Crichton, egli è determinato a ricavare un DNA di dinosauro in grado di poter clonarlo. Sostenitore che la scienza non deve porsi dei limiti, anzi deve scoprire tutto ciò che è possibile, egli continua a ricercare inutilmente il DNA per riuscire a riprodurlo. Prende la sfida con una certa vena di ironia ma non demorde. Se Jurassic Park ci ha messo in guardia sui possibili terribili epiloghi, conseguenti al risveglio di specie estinte e per lo più spaventose, il non volerlo considerare, in nome del desiderio irrefrenabile di non porre dei limiti etici alla scienza, potremmo rischiare di essere sul punto di una vera catastrofe.
I film dell’orrore hanno sempre fantasiosamente creato dei mostri inesistenti, ma nel mondo moderno, dominato dalle tecnologie più disparate i mostri potrebbero diventare una realtà. Ci sono scienziati, dotati di un ego molto grande, che ritengono le nostre avanzate tecnologie, frutto della nostra intelligenza, siano ormai in grado di creare un ibrido umano. C’è chi ha tentato in passato di realizzarlo senza successo: Il’ja Ivanovič Ivanov, biologo russo, scomparso nel 1932. Negli anni ’20 la teoria dell’evoluzione darwiniana non era ancora del tutto accettata, per cui ci furono scienziati determinati nel cercare delle prove a suo sostegno. Ivanov voleva dimostrare che l’uomo discende dalla scimmia. Impegnato nel campo dell’inseminazione in zootecnia, iniziò a creare delle specie ibride di animali diverse, come la zebra-asino, il bisonte-mucca e altre mostruosità simili. Le sue ricerche lo resero famoso quando partorì l’idea di creare l’uomo-scimmia ed il suo progetto suscitò l’interesse del governo stalinista. L’idea era quella di creare un esercito di uomini-scimmia, una casta inferiore, che si differenziava per una enorme resistenza a sopportare il dolore, la fame, il freddo, ma dotati di scarsa intelligenza, quindi perfettamente adatti a lavorare nelle ricche di miniere. Le sue ricerche lo portarono lontano alla ricerca di trovare dei soggetti adatti e ciò lo condusse nell’Africa orientale a Kindia, nella Guinea Francese, ove allestì un centro di ricerca per i suoi sinistri esperimenti. Basandosi sulle teorie darwiniane sull’origine della specie, iniziò a condurre esperimenti sugli scimpanzé con l’inseminazione di sperma umano nelle femmine. Tutti i tentativi andarono a vuoto per cui escogitò un piano ancora più spaventoso e ignobile: sperimentare l’inseminazione di sperma di scimpanzé stavolta su tantissime donne locali, ignare e inconsapevoli di fungere da cavie. Anche questi esperimenti risultarono disastrosi e quando le autorità locali ne vennero a conoscenza, lo cacciarono dal Paese. Una volta rientrato in Russia, riprese gli esperimenti, convincendo alcune donne a sottoporvisi volontariamente per diventare madri di “scimpanzéuomo”, ma ancor prima di iniziare la sperimentazione, si venne a sapere dei suoi immorali tentativi e venne esiliato in Kazakistan. Anche stavolta questa inquietante vicenda ispirò la filmografia fantascientifica ma con un’angolazione del tutto diversa.
Nel 1995 venne prodotto il film di successo “Planet of the Apes” che narra la vicenda di un pianeta governato da scimmie molto intelligenti che stavolta trattano gli umani come loro trattano gli animali. Il messaggio del film è una sorta di lezione-rivalsa, volta a far riflettere sul pericolo insito nell’intendere la mala scienza come uno strumento dotato di un potere illimitato quanto terribilmente distruttivo e nefasto, quando invece dovrebbe avere l’obiettivo di preservare la Natura nella sua essenza, senza depauperarla della sua preziosa ricchezza, unicità e varietà, migliorando certamente la qualità della nostra vita, pensando nel contempo al benessere da estendere anche a tutte le altre creature che condividono con noi la breve l’esistenza su questa Terra.
Evidentemente questo concetto non è ancora entrato nelle menti dei vivisettori che insistono nell’utilizzare gli animali come strumenti, senza alcuno scrupolo morale, arrivano a condurre esperimenti, non meno mostruosi di quelli di un lontano passato, mostrandoli al mondo, come un valore aggiunto alla scienza medica. È il caso recente la maialina Gertrude (nella foto), ennesima cavia della vivisezione, a cui è stato impiantato nel cervello un microcip che la induce a muoversi, mangiare senza che se ne renda conto, stimolandole degli impulsi dall’esterno a comando. L’hanno clamorosamente presentata come una possibile tecnologia d’avanguardia, verso la creazione di un corpo robotico utile per potenziali progressi in medicina, da trasferire poi sull’uomo. Allora in sostanza nulla è cambiato.
Frankestein è ancora con noi o forse è meglio dire in noi?
17 Ago, 2020
Il baule dell’auto della responsabile della sezione LEAL di Cremona è strapieno di pappe per i nostri mici delle colonie e i cani di rifugi in difficoltà. Giovanna Tarquinio ha già iniziato il giro di consegne. Un immenso grazie alla generosità dei clienti e al personale del negozio Arcaplanet presso Rossetto da LEAL e i nostri quattro zampe.
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30 Giu, 2020
Articolo a firma di Francesca Di Biase estratto dall’ultimo numero della nostra rivista “La Voce dei Senza Voce” n. 117 primavera 2020, con i contributi di: Gian Marco Prampolini, Mirta Baiamonte, Francesca Di Biase, Piero M. Bianchi, Giovanna Tarquinio, Silvia Premoli. Buona lettura.
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Francesca Di Biase
educatore e formatore cinofilo
ABC DOG Team A.S.D. | 3339240420
PAROLE CHE SEMBRANO SIMILI, CONCETTI COMPLETAMENTE DIVERSI.
Molte delle famiglie che condividono la propria vita con un quattro zampe sono accomunate dal desiderio di voler “addestrare il cane”. Ma cosa significa esattamente la parola “addestrare”? Etimologicamente vuol dire “rendere destro e/o abile”. In ambito cinofilo rappresenta l’adattare doti innate del soggetto tramite degli insegnamenti per utilizzarle nello sport, come ad esempio il disc dog nel quale il cane insegue e afferra un frisbee soddisfacendo la motivazione predatoria attraverso il gioco con il proprio partner umano, oppure nell’utilità, come i cani da soccorso dove si servono del proprio fiuto (senso estremamente sviluppato) per trovare persone disperse, soddisfacendo la motivazione di ricerca attraverso una stretta collaborazione con il conduttore.
Si “addestra” quindi un cane, non per imporgli un lavoro, bensì per incanalare doti già presenti nel suo DNA (che non potrebbero altrimenti essere inculcate) in un compito definito che impara a svolgere con le regole che gli vengono insegnate gradualmente attraverso un allenamento costante fondato per lo più sul gioco e sulla gratificazione.
Se un cane avesse una scarsa motivazione predatoria non avrebbe interesse a inseguire oggetti in movimento (es. il frisbee) o a ricercare una traccia in un bosco (es. il disperso), se non provasse grande soddisfazione dal lavoro di fiuto, e l’addestramento risulterebbe inefficace.
Diverso è invece il termine “educare” che etimologicamente significa “tirar fuori” attraverso l’insegnamento mirato ad ampliare la capacità di esprimersi grazie alla conoscenza del mondo, allo sviluppo delle facoltà mentali e all’apprendimento. L’educazione rivolta al cucciolo e/o al cane in età adulta, è dunque quell’insieme di insegnamenti utili a far sì che il soggetto proponga per scelta comportamenti ben accetti nella società umana.
Un cane educato è un cane che può godere appieno della relazione in famiglia poiché gli saranno stati dati tutti gli elementi necessari per vivere serenamente il tempo dentro e fuori casa. L’educazione di un cane passa da molteplici attività pedagogiche, quali:
– intraspecifiche: per imparare a stare bene in mezzo ad altri cani. Questo non significa che si possa insegnare al proprio cane a giocare o ad essere socievole con tutti i cani che incontra, ma vuol dire sapergli dare le giuste opportunità di confronto ed il giusto supporto per poter sostenere la condivisione degli spazi con i propri simili senza dover attaccar briga con tutti, averne timore o soffrire di elevato stress, grazie all’apprendimento di modalità comunicative consone;
– interspecifiche: per imparare ad accettare la presenza di altre persone, oltre ai propri familiari, che possano essere bambini, anziani ecc. Questo grazie ad un buon impegno da parte della famiglia non solo per gestire correttamente l’accesso di ospiti in casa, ma anche una sosta al bar o una cena al ristorante, tenendo sempre conto di scegliere luoghi consoni e delle capacità di adattamento del quattro zampe coinvolto, nel rispetto della sua emotività;
– ambientali: per imparare a reggere il peso del contesto urbano in cui molto spesso i cani di città sono costretti a vivere. Le auto, il traffico, le sirene, i cassonetti, le biciclette, i rumori improvvisi, fanno parte della nostra quotidianità, ma per i cani sono tutti stimoli che devono essere vissuti nel modo corretto e nelle giuste tempistiche fin dalla tenera età, per evitare traumi emotivi importanti;
– comunicative uomo-cane: per imparare a seguire direzioni e ascoltare richieste utili nella normale routine. Dare questo tipo di nozioni a un cane è importante per fornirgli gli strumenti da poter utilizzare ogni volta che si rendano necessari. “Di qua” per superare insieme un ostacolo durante la passeggiata al guinzaglio, come può essere un palo della luce; “Fermo” per sostare in attesa di attraversare la strada; “Andiamo” per procedere nella camminata insieme; “Guardami” quando in lontananza si intravede il cane nemico in quartiere; “Vieni” quando dobbiamo richiamare il nostro cane che abbiamo liberato per una corsa in un prato. La comunicazione verbale è fondamentale e se usata correttamente con toni calmi unitamente a posture chiare e mai invadenti risulterà al cane semplice ed efficace.
Tutte queste attività, proposte con approcci gentili e cognitivi, pongono i familiari nel ruolo di essere fin da subito i suoi educatori, proprio come lo sono i genitori con i propri figli, e permette di diventare guida di cui fidarsi, alla quale affidarsi e con la quale crescere.
Ecco perché esiste la figura dell’educatore cinofilo che pone le sue conoscenze al servizio delle persone decise a condividere la vita di ogni giorno con un cane. L’educazione passa quindi inevitabilmente dalla formazione dei partner umani che dovranno essere “educati ad educarlo”. È importante che negli incontri siano presenti tutti i componenti con cui il cane vive: papà, mamma, nonni, bambini. E se questo non fosse possibile, è necessario che chi presenzia alle sessioni, informi gli assenti delle giuste modalità educative per ciascun argomento affrontato durante il percorso.
Attenzione invece ai metodi educativi basati su coercizione e violenza fisica e/o psicologica. Le “metodologie di una volta” (ormai superate, ma purtroppo ancora presenti) insegnano il timore, la paura e la sottomissione forzata. Sono insegnamenti generalizzati sul cane che non considerano l’individualità del soggetto, l’età, il carattere, l’emotività, ma solo il fine: l’ubbidienza a comando qualunque sia il suo stato d’animo.
La cinofilia ha fatto grandi progressi grazie a studi condotti sulla psicologia del cane, sulle capacità di apprendimento e di provare sentimenti molto simili a quelli umani. Per questo motivo i percorsi educativi devono essere cuciti su misura non solo del cane, ma anche della famiglia e dell’ambiente in cui vive.
Se ce ne fosse la necessità, rivolgiamoci ad educatori cinofili che abbiano ben chiara la differenza tra addestrare ed educare, ma anche tra educare con approcci gentili o con metodologie obsolete, che siano consapevoli delle capacità di pensiero del cane e del fatto che non esista un cane uguale ad un altro, non uno che apprenda negli stessi tempi di un altro o che reagisca agli eventi con la stessa emotività di un altro. Scegliamo con la certezza che gli insegnamenti che ci vengono offerti siano fondati sul rispetto dell’alterità animale, ma anche sulla conoscenza comprovata da studi e anni di esperienza. Pensiamo ad educare il nostro cane con le stesse accortezze con la quale educheremmo un bambino e saremo sulla strada giusta, perché ogni cane è unico e speciale nel suo essere semplicemente cane.
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12 Giu, 2020
Articolo a firma di Pietro M. Bianchi estratto dall’ultimo numero della nostra rivista “La Voce dei Senza Voce” n. 117 primavera 2020, con i contributi di: Gian Marco Prampolini, Mirta Baiamonte, Francesca Di Biase, Piero M. Bianchi, Giovanna Tarquinio, Silvia Premoli. Buona lettura.
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Pietro M. Bianchi
medico veterinario
Clinica Sempione Milano 02.33605150
SE IL CIBO È UN PROBLEMA
“Noi siamo quello che mangiamo”: così recita un antico motto popolare che nasconde una certa parte di verità.
Sebbene sia riferita alla nostra specie, in realtà il suo significato è valido anche per cani e gatti: noi non siamo poi così diversi da loro. Se correttamente nutriti i nostri amici si dimostrano più sani e più longevi, come più volte hanno sottolineare in questi ultimi anni i nutrizionisti canini e felini.
Il legame tra alimentazione e salute, tuttavia, nasconde a volte delle correlazioni che esulano dalla qualità e dalla quantità della razione, così come dai processi di digestione e assimilazione: è il caso, per esempio di allergie alimentari, intolleranze dietetiche e reazioni avverse al cibo, fenomeni che, ben noti e documentati nel cane e nel gatto, stanno diventando più frequenti rispetto al passato.
Cercare di capire, qualora i nostri cani o gatti dovessero avere dei problemi, se le cause del loro malessere derivano dall’alimentazione è essenziale per trattarle nel modo più corretto.

ESISTONO DIVERSI TIPI DI DISTURBO
Le cosiddette “reazioni avverse” al cibo sono risposte anomale che l’organismo di cani e gatti mette in atto dopo avere ingerito ingredienti alimentari o di additivi di diverso genere e che comprendono, a loro volta, differenti disturbi, siano essi su base immunologica oppure no.
L’intolleranza alimentare è una reazione avversa che si instaura senza che vi sia una corrispondente forma di allergia. Diverso è il caso dell’ipersensibilità, che nasconde un meccanismo di tipo immunitario: l’alimento, in tal caso, si comporta da allergene e determina una risposta degli anticorpi da parte del sistema immunitario dell’animale.
Vi sono, poi, altre denominazioni, quali l’idiosincrasia al cibo (reazione abnorme che non presuppone meccanismi di tipo immunologico), l’anafilassi al cibo (forma allergica, in grado di causare uno shock anafilattico), le reazioni metaboliche al cibo (che possono essere legate a un ingrediente o a un’alterazione a carico del metabolismo), le reazioni farmacologiche al cibo (dipendenti da sostanze chimiche presenti nell’alimento), le tossinfezioni alimentari (avvelenamenti causati da tossine presenti nel cibo o prodotte da microrganismi contaminanti); tutte queste forme riconoscono come responsabile del problema uno o più ingredienti della dieta.
CI SONO I SINTOMI ALLA PELLE…
Ricerche condotte negli ultimi anni dai medici veterinari esperti in dermatologia hanno messo in evidenza come una buona parte delle affezioni cutanee di cani e gatti siano da mettere in relazione a problemi di natura alimentare. Il sintomo predominante, in questi casi, è il prurito: l’animale si lecca con la lingua, si mordicchia con i denti, si gratta con le unghie delle zampe posteriori e sfrega alcune parti del suo corpo contro superfici ruvide.
Questi tentativi di alleviare il prurito generano a loro volta arrossamenti, caduta del pelo e ferite, che creano poi croste e piaghe, che diventano facilmente preda di infezioni secondarie della pelle. La localizzazione di tali lesioni può essere molto variabile, anche se più spesso sono interessate le parti ventrali del corpo (le ascelle, l’inguine, l’interno delle cosce) e le zampe (soprattutto gli spazi interdigitali).
…I SINTOMI GASTROINTESTINALI…
Le reazioni avverse al cibo possono determinare in cani e gatti anche sintomi di tipo gastrointestinale, talvolta associati (non sempre, però) alle alterazioni della pelle prima descritte. Questi segni clinici possono essere poco o molto rilevanti, a seconda dei casi.
Il vomito, relativamente frequente, consiste nell’espulsione del cibo parzialmente digerito e quindi, evidentemente, ha un aspetto ancora piuttosto riconoscibile; più di rado, tuttavia, può accadere che vengano inviati all’esterno contenuti gastrici liquidi, viscosi o schiumosi, di colore bianco o giallastro.
Più spesso, però, il sintomo predominante è la diarrea: le feci possono essere prive di forma o decisamente fluide; il sangue è piuttosto comune, specialmente se gli episodi di diarrea sono frequenti e gravi, associati a un grosso sforzo di espulsione.
In certi casi, poi, possono essere presenti (anche o solo) borborigmi (cioè rumori intestinali e brontolii di pancia), flatulenze (emissioni di gas più o meno puzzolenti), coliche (l’animale tende a muoversi poco e presenta addome contratto) e prurito nella zona anale.
…E I SINTOMI DI ALTRO GENERE
Sebbene molto spesso le reazioni avverse al cibo si manifestino con problemi di tipo dermatologico o gastrointestinale, può anche accadere di assistere alla manifestazione di sintomi a carico di altri organi. La localizzazione di tali reazioni all’apparato respiratorio, pur se rara, può essere caratterizzata da starnuti, episodi di broncocostrizione (riduzione del lume delle basse vie aeree, che comportano difficoltà nell’introduzione dell’aria nei polmoni) e colpi di tosse.
Sono state descritte, inoltre, convulsioni (impropriamente chiamate crisi epilettiche, in quanto non determinate da una forma di epilessia), caratterizzate da perdita di coscienza, movimenti a scatto delle zampe anteriori e posteriori, perdita involontaria di saliva, urina e feci.
A volte le reazioni avverse al cibo comportano disturbi a livello degli occhi, come per esempio infiammazione congiuntivale, lacrimazione eccessiva, prurito e presenza di secrezioni anomale.
Allo stesso modo, anche le orecchie possono essere direttamente interessate: la comparsa di arrossamenti, otiti (cani e gatti scuotono con fastidio il capo e tendono a grattarsi ripetutamente le orecchie con le zampe posteriori) e secrezione ceruminosa possono infatti essere indicative anche di un disturbo su base alimentare.
COME SI RICONOSCONO LE REAZIONI AVVERSE AL CIBO
La comparsa dei sintomi descritti deve sempre far sospettare la presenza di un problema legato all’alimentazione. Per rendersene conto è opportuno escludere altre cause di malattia, quali per esempio infezioni, parassitosi, allergie, avvelenamenti e così via. È consigliabile quindi fare quanto prima gli esami specifici, necessari per il riconoscimento del problema.
Sebbene per le persone siano una routine, i test cutanei (intradermoreazione) in cani e gatti non danno sempre risultati attendibili: per questo non tutti i medici veterinari dermatologi sono concordi sulla loro utilità.
Le analisi del sangue hanno il vantaggio della semplicità di esecuzione e forniscono risultati più accurati rispetto alle prove allergiche cutanee: il loro limite, tuttavia, è rappresentato dal fatto che non tutti i casi di reazioni avverse al cibo sono su base allergica o immunitaria. Ne consegue che i casi di intolleranza determinati da forme di ipersensibilità possono sfuggire.
Il modo migliore per individuare il problema è la cosiddetta dieta da privazione o da eliminazione.
LA DIETA DA PRIVAZIONE
Per mettere in atto una dieta da privazione si devono scegliere due fonti alimentari – proteine e carboidrati – con le quali l’organismo del cane e del gatto non è mai venuto in contatto.
Le proteine possono essere di origine animale oppure vegetale, mentre per quel che riguarda i carboidrati ci si indirizza di solito su avena, orzo, farro o patate. Gli ingredienti vanno ben cotti ed è indispensabile non dare all’animale assaggi di altro genere nel corso della giornata. In alternativa, si possono utilizzare alimenti preconfezionati specifici (mangimi ipoallergizzanti), reperibili nei negozi per animali.
La dieta da privazione va somministrata per quattro-otto settimane consecutive, verificando se i disturbi tendono a scomparire del tutto. Dopo tale periodo e senza sintomi, si comincia ad aggiungere un nuovo ingrediente alla volta per periodi di una settimana, valutando il risultato.
In questo modo ci si rende facilmente conto se un determinato cibo provoca o meno problemi. La cura delle reazioni avverse al cibo comporta, infatti, l’eliminazione degli ingredienti responsabili dei disturbi, ma per poterlo fare si deve sapere con precisione quali sono i cibi che scatenano le reazioni avverse.
Nelle fasi iniziali, quando i disturbi sono rilevanti oppure vi sono delle complicazioni, può essere raccomandabile somministrare all’animale, su consiglio del medico veterinario di fiducia, farmaci (anti-prurito, antibiotici, fermenti lattici e così via) che attenuino la gravità dei segni clinici esibiti dal nostro amico a quattro zampe.
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