9 Dic, 2017
La petizione aperta sulla piattaforma Change.org “Via i pesci dall’acquario di Fazio” (→ a questo link) ha raggiunto subito quasi duemila firme.
L’acquario, con tanto di pesci prigionieri infatti è ancora in trasmissione dopo le polemiche scatenate dalla lettera aperta inviata al conduttore da Renata Balducci, Presidente di AssoVegan, e dai tanti dissensi espressi dal web. La TV di Stato di fatto dimostra zero attenzione a messaggi di rispetto verso ogni forma di vita anzi con questo acquario/prigione equipara degli animali senzienti ad oggetti di arredo.
Un articolo della psicologa Annamaria Manzoni “Pesci liberi acquari vuoti” (leggi sotto) è il perfetto compendio a questo argomento e sottolinea e spiega l’indifferenza umana nei confronti della fauna ittica. Lo scritto è di fatto un sentito manifesto a difesa degli abitanti del mare costretti in acquari, delfinari, circhi acquatici. Una lettura consigliata e soprattutto da diffondere ai troppi genitori e insegnanti che sono ancora convinti di contribuire alla conoscenza e formazione dei bambini accompagnandoli ad osservare creature confinate in tinozze di vetro, che se libere come giustizia vorrebbe godrebbero di ampi spazi e di ore di movimento, esplorazione e gioco.
Pesci liberi acquari vuoti
I ricorrenti dibattiti sull’opportunità di aprire nuovi acquari e gli ampliamenti di quelli già esistenti (Cagliari, Roma…) sono l’occasione per alcune riflessioni su queste strutture e soprattutto sui loro inquilini, strutture presenti in gran numero sul territorio nazionale: dal più antico, che è quello di Napoli, al più celebrato, quello di Genova, inaugurato nel 1992 con la benedizione architettonica di Renzo Piano, e divenuto indiscusso polo d’attrazione della città, meta turistica, occasione di gite, soprattutto scolastiche, ma non solo.
Gli animali, ospitati secondo la terminologia in uso, imprigionati secondo un approccio più rispettoso della realtà che passa anche da un uso più corretto del linguaggio, possono essere i più disparati: pesci marini, pesci d’acqua dolce, animali provenienti da foreste pluviali, squali, delfini, tartarughe, foche, pinguini, anfibi, rettili.
Andando diritti al cuore del problema, non si può che affermare che gli acquari sono il corrispettivo acquatico degli zoo: luoghi dove animali provenienti da luoghi diversi, in genere abituati a grandi spazi e a una vita di relazione articolatissima, vengono costretti in ambienti minuscoli, a rapporti intraspecifici del tutto falsati, a ritmi quotidiani estranei alle loro esigenze di specie. Il motivo della loro cattura e della loro riduzione in cattività è uno e uno soltanto: un business che può assumere dimensioni stratosferiche, dal momento che gli animali sono lì per fare arricchire qualcuno e lo scopo è in genere raggiunto.
Ammetterlo però non sta bene e quindi la realtà viene nobilitata con motivazioni riferite per esempio all’educazione dei bambini, che ne sono i fruitori principali, i quali, a dire degli organizzatori, possono fare percorsi interessanti tra divertimento, conoscenza e cultura del mare.
Varie sono le considerazioni: una attiene a ciò che i bambini, spesso in gita scolastica, (non)imparano: è sufficiente osservarli, mentre passano davanti alle vasche, soffermandosi in genere non più di qualche secondo, e ignorando le informazioni fornite dai cartellini esplicativi. È un po’ come essere in un grande luna-park, sfavillante di colori, attrattive e sollecitazioni visive, oltre che, ahimè per gli animali, sonore.
L’attenzione, per quanto fuggevole, è attratta dall’aspetto degli animali, dai loro colori smaglianti, dalle forme inusuali, da grandezze fuori dal comune, da movenze curiose. L’unica vera domanda, quella che si faceva Bruce Chatwin quando soffriva l’intollerabilità del suo essere lontano da dove desiderava, sarebbe “Che ci fa lui qui?”, ma non è contemplata tra quelle potenziali da proporre ad insegnanti e genitori: i bambini in grado di formularla sono davvero pochi, solo quelli dotati della capacità di posizionarsi fuori dal coro, in grado di non farsi inserire come tesserine nel mosaico preparato dai grandi, e di guardare invece la situazione dal di fuori, da una postazione critica che consente di vedere che il re è nudo: lì quegli animali non dovrebbero proprio starci, perché nessuno di loro è fatto per vivere in cattività, negli spazi ristretti a disposizione.
Gli adulti, se fossero in grado di accoglierla quella domanda, i bambini all’acquario non ce li avrebbero nemmeno portati, quegli adulti la cui autorità non è certo facile contrastare, perché sono loro che decidono cosa è bene e cosa no, cosa va fatto e cosa no, sulla scorta di una facoltà discriminatoria tra bene e male autoattribuita, tanto difficile da mettere in discussione soprattutto da chi, in virtù dell’età, possiede se mai solo la capacità di esternare con semplicità un vissuto interiore, che si nutre non di argomentazioni complesse, ma di identificazione empatica con quell’altro lì di fronte, chiuso nella vasca, capacità spesso incapace di tradursi in parole.
Per rendersi conto di cosa sono veramente gli acquari, risulta esemplificativa la situazione di uno degli animali più amati, il delfino: gli studiosi ci dicono che questi mammiferi, quando sono in libertà, passano l’80% del loro tempo sotto la superficie delle acque, giocando, esplorando, cacciando: sono animali liberi, che amano le profondità dell’oceano che scandagliano anche a 200 metri di profondità; negli spazi dei delfinari l’80% del loro tempo lo devono invece passare in superficie, costretti a giocare a palla o a girare in tondo magari in mezzo al ritmo di una musica assordante; la discesa nell’acqua non supera i 2 metri di profondità: sarebbe come per un uomo restare in ascensore spiega in modo efficacissimo Mark Hawthorne [Bleating hearts, Changemakers books 2013], sconvolgente esperienza claustrofobica per chiunque di noi. Ma preferiamo vivere di rappresentazioni anziché di verità: e allora nel nostro immaginario il delfino continua ad essere quell’animale gentile sdoganato da tanta filmografia di cui il film Flipper [regia di Alan Shapiro 1996; remake de Il mio amico delfino, regia di James B. Clark 1963] è solo l’esempio più eclatante, che consideriamo felice mentre compie irragionevoli acrobazie perché sorride con un sorriso che è in realtà il più grande inganno della natura [la definizione è di Richard O’ Berry]: frutto della sua conformazione mascellare che dà forma ad una sorta di smorfia, ci ostiniamo a interpretarlo come reazione di serena contentezza alle nostre assurde richieste. Ma sereni i delfini in cattività non possono proprio esserlo: animali molto intelligenti, veloci, dotati di autocoscienza, sono consapevoli delle circostanze in cui si trovano, e della propria condizione di prigionia; la ripetitività degli elementi stressanti li rende più vulnerabili alle malattie e li induce a volte a comportamenti aggressivi auto o etero diretti.
Non è un animalista visionario, ma il famoso oceanografo Jacques Cousteau a etichettare come suicidario il comportamento di uno di loro che costringeva in un acquario e che morì picchiando il cranio contro i bordi della struttura: fu suo figlio Jean-Michel a parlare di suicidio puro e semplice e ad affermare “Abbiamo ucciso un delfino disperato con i nostri maltrattamenti e la nostra indifferenza”. In modo non diverso si esprime Ric O’Barry, colui che catturò e istruì i cinque delfini della serie Tv Flipper, trasmessi con grande successo tra il 1964 e il 1967: racconta di come una di loro, Kathy, decise deliberatamente di non respirare più e di morire “Uso la parola suicidio con trepidazione, ma non conosco altra parola per definire quello che ho visto” [Richard O’ Berry, Dietro il sorriso dei delfini, Edizioni Sonda 2014]. Ric trasformò il senso di colpa conseguente alla consapevolezza di tanto male fatto a questi animali fondando il Dolphin Project, in loro aiuto e difesa. Se il suicidio è un’evenienza assolutamente drammatica quando coinvolge un umano, perché testimonia di una vita talmente insopportabile da rinnegare se stessa, quando messo in atto da un animale annichilisce: perché loro, anche più di noi, appaiono immersi nella propria natura corporea, indifesi come bambini, laddove noi adulti possiamo avere a disposizione meccanismi complessi di difesa e sublimazione del dolore.
A tutto ciò si aggiunga che sulla cattura dei delfini degli zoo acquatici arrivano informazioni che la connettono a quelle forme di caccia immortalate nel documentario The Cove, conosciute in tutto il mondo grazie alla diffusione delle immagini di un mare insanguinato e di un orrore senza fine, per il quale il linguaggio a volte non possiede parole esplicative: in quelle immagini si trova la misura definitiva di ciò di cui stiamo parlando, in quel sinistro fascio di luce gettato sulla realtà degli acquari. Come sempre, un provvidenziale meccanismo di negazione ci protegge dall’ammettere ciò che sarebbe fonte di angoscia inesauribile: quindi: non è vero niente. Tutto grazie ad un sano negazionismo in grado di farci ignorare i peggiori crimini quando non abbiamo i mezzi per giustificarli.
Ancora a lungo si potrebbe parlare degli zoo acquatici, con descrizioni di altri grandi cetacei quali le orche: è comunque sufficiente raccontare che la cattura avviene dopo che gli animali, una volta individuati in gruppo dagli aerei, vengono spinti dalle barche in luoghi chiusi mentre pescatori subacquei usano esplosivi per spaventarli; vengono poi bloccati in grandi reti, legati alle barche, trascinati a riva, messi nei container e trasportati fino ai luoghi della loro cattività, dove il viaggio termina per sempre: ciò al netto di quelli che succede rimangano impigliati nelle reti come fu per un cucciolo durante la cattura di ben 80 orche nel 1970 a Penn Cove, che morì insieme alla madre la quale tentava di soccorrere il suo piccolo in agonia. Anche delle orche non si può che ricordare che soffrono depressione, noia, decadimento fisico, stress: come potrebbero non farlo se, fatte per coprire giornalmente distanze di 160 km, una volta inserite negli acquari sono costrette in spazi che definire tinozze è tutto ciò che si può fare? Bisognerebbe forse anche cominciare a chiedersi il motivo per cui in cattività vivono, o meglio sopravvivono, una media di 13 anni a fronte dei 60 per i maschi e 90 per le femmine quando sono in libertà. Per altro è estremo insulto alla loro natura l’essere chiamate balene-killer, in quanto in natura non hanno mai ucciso nessun uomo e solo in cattività lo fanno: si tratta delle conseguenze omicide stimolate dalla prigionia, che induce iperaggressività e persino automutilazione: come è possibile non fare il collegamento?
Ma se sono i grandi cetacei le maggiori attrazioni degli acquari, non è meno infelice la sorte di tutti gli altri esseri acquatici lì imprigionati: purtroppo la sorte dei pesci in generale sta molto poco a cuore anche a chi è solito preoccuparsi di non umani: li sentiamo in qualche modo ancora più diversi perché vivono in acqua e questo segna un’ulteriore lontananza da noi, che siamo terrestri per definizione, e che pure tanto li invidiamo da sforzarci di imitare la loro capacità di muoversi immergendosi e solcando le acque, senza riuscire ad eguagliare neppure il più sparuto di loro. E poi, ahimè, sono muti, muti come pesci per l’appunto: e questo sembra favorire ai nostri occhi un’ulteriore svalutazione: oltre al fatto che “È perché sono muti che gli animali non ci dicono male parole”, come dice uno di quegli enormi conoscitori dell’animo umano che sono i bambini di Napoli intervistati da Marcello D’Orta [Marcello D’Orta, Nessun porco è signorina, Mondadori 2008], molto più capace degli adulti di cogliere la portata del male che anche ai pesci siamo tanto bravi a fare, impassibili davanti al loro dolore che è muto.
Insomma se c’è una cosa di cui non sentiamo il bisogno è un altro acquario; se da un lato non si può che inorridire al milione di visitatori annuali attesi all’Eur, che avrà così un rinnovato fascino e si trasformerà in area ad alta vocazione turistica, c’è da essere grati a nome di tutti gli animali acquatici per la presa di posizione di chi vi si oppone: ma bello sarebbe che le motivazioni non fossero solo quelle della sostenibilità ambientale ed economica, ma prima di ogni altra quella dell’insopportabilità dell’ingiustizia inferta ancora una volta ad esseri che abitano i mari e le altre acque, che quelle acque amano e frequentano a giusta distanza da noi, una distanza in genere abissale, che qualche volta giocosamente accorciano incapaci di immaginare quanta volontà di sterminio riesca ad animarci.

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21 Nov, 2017
LEAL denuncia quello che evidentemente per le istituzioni e politici emiliani non è un problema prioritario: è in fase di progettazione un altro maxi allevamento di suini a Zerbinate nel Comune di Bondeno (Ferrara). Anche questo allevamento è griffato Biopig di Cascone Luigi società che a Zerbinate vorrebbe giocare al raddoppio: oltre al maxi allevamento di Finale Emilia di cui LEAL si sta occupando con la consegna di una petizione firmata da 70.000 cittadini che chiedono di bocciare il progetto.
Il progetto di un secondo impianto di biogas che giustificherebbe l’ingiustificabile: ovvero un insediamento di 50.000/60.000 suini proprio sugli 80 ettari dell’allevamento Ferrari in fallimento e già acquisiti da Cascone. Ricordiamo che poco distante, a Burana è attivo a pieno ritmo un altro allevamento di Cascone con 20.000 maiali che sta già rendendo invivibile la zona. Non si può neppure immaginare come potrebbe diventare il territorio con altri due allevamenti. La logica del guadagno viene applicata alla produzione del biogas fattibile con gli allevamenti intensivi ovvero lager dove i maiali vivono 6 mesi, stipati nei capannoni, mezzo metro quadro di spazio ciascuno, crescendo innaturalmente fino ai 160 kg, i piccoli schiacciati sulle grate dagli adulti, gli occhi e i polmoni bruciati dall’aria resa irrespirabile dall’ammoniaca delle deiezioni.
Gian Marco Prampolini, presidente LEAL dichiara: “LEAL è contro ogni forma di allevamento e crudeltà nei confronti di ogni vivente. Siamo davvero sconcertati come rappresentanti delle istituzioni tutte non si oppongano a questi progetti e non si battano per tutelare la salute degli abitanti e la salute propria e delle proprie famiglie. Abbiamo deciso di portare avanti questa battaglia che per noi è soprattutto etica a livello di LEAL Nazionale perché il problema dei grandi allevamenti, ovunque siano rappresenta un fenomeno di tale portata che deve interessare tutti noi e non solo i residenti così come l’inquinamento di aria, acqua e prodotti agricoli non rimane certo confinato nella nella città nella regione, chiediamo a tutti di firmare anche la petizione contro l’allevamento di Zerbinate, cercheremo di raggiungere almeno le 70.000 firme già raccolte per l’allevamento di Finale Emilia”.
LEAL diffonde uno stile di vita vegan e fa controcultura anche in una regione dove i maiali e gli animali non sono considerati viventi da rispettare ma risorse, diffondendo il messaggio che una scelta di rispetto vale un cambiamento di stile di vita. Gli allevamenti esistono perché esiste un mercato e una richiesta: un territorio integro, l’aria respirabile, i prodotti agricoli non contaminati e l’acqua sicura e potabile valgono un cambiamento di abitudini.
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16 Nov, 2017
Il 5 novembre LEAL sezione Napoli ha deposito le 540 firme raccolte (500 è il minimo richiesto) ai sensi dell’articolo 9 del Regolamento comunale per chiedere al Sindaco di emettere subito un’ordinanza che pretenda da parte dei circhi i requisiti previsti dalle “Linee Guida per il Mantenimento degli Animali nei Circhi e nella Mostre Itineranti” elaborate dalla Commissione Cites nel 2006. Le firme sono accompagnate da una nota del presidente LEAL Gian Marco Prampolini con cui si mette in evidenza che, in vista delle istanze da parte anche dei circhi con animali: “In assenza di una specifica regolamentazione che dia indicazioni chiare sulle misure minime di ricoveri e spazi a disposizione degli animali al seguito di circhi e mostre itineranti e sugli arricchimenti ambientali da adottare per soddisfare esigenze etologiche, si rende necessario un intervento ai sensi del Dpr 31/03/1979 che attribuisce ai Comuni, singoli o associati, ed alle Comunità montane, la funzione, esercitata dall’Ente nazionale protezione animali, di vigilanza sulla osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e locali, relativi alla protezione degli animali ed alla difesa del patrimonio zootecnico”.

Imporre una stretta alla regolamentazione relativa agli spettacoli viaggianti è quindi un atto dovuto e necessario. È una petizione che chiede di intraprendere questa azione che è la misura più rigorosa possibile che i Comuni possono applicare per garantire maggior benessere agli animali nei circhi. Nel frattempo è già stata inviata una lettera a tutti i comuni della città metropolitana in cui Paolo Treglia, responsabile LEAL sezione Napoli, sottolinea il messaggio diseducativo che rappresenta il circo con animali, perché trasmette l’idea di sopraffazione dell’uomo che obbliga gli animali a compiere azioni innaturali ed esorta gli enti a dare spazio ai circhi senza animali.
“Se il motivo della lotta contro il circo è basata sul rifiuto delle condizioni innaturali degli animali, per altri versi la questione dovrebbe interessare anche a chi è meno sensibile alla tematica animalista – aggiunge Paolo Treglia – infatti l’attendamento di un circo con animali, oltre alla gestione di procedure amministrative e burocratiche per garantire la pubblica sicurezza, prevede la gestione di ulteriori controlli da parte della Asl finalizzati alla salvaguardia dell’ambiente e della salute pubblica, in particolar modo le modalità di eliminazione di rifiuti solidi e liquidi in osservanza della vigente normativa in materia di rifiuti”.
ULTIM’ORA!
L’Amministrazione Comunale di Anacapri con deliberazione di Giunta Comunale n. 205 del 15.11.2017 ha aderito alla campagna per la tutela degli animali da circo promossa da LEAL Lega Antivivisezionista Onlus: → Comune di Anacapri. Notizie e comunicati.
LEAL sezione Napoli
Paolo Treglia
tel. 081 7690730 (dalle 17 alle 19) 366 3288106
lealnapoli@gmail.com
Contatto Telegram
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9 Nov, 2017
La Legge del Codice dello Spettacolo n.4652 è stata approvata dalla Camera dei Deputati. Nel testo approvato non si parla di ELIMINAZIONE DEGLI ANIMALI DAL CIRCO ma di un “GRADUALE SUPERAMENTO” DEGLI SPETTACOLI IN CUI SONO USATI GLI ANIMALI.
L’onorevole Chiara Gagnarli (M5S) che ha presentato un emendamento migliorativo ci chiarisce le sue richieste: “È stata approvata una revisione della disposizione nei settori delle attività circensi, e degli spettacoli viaggianti, finalizzata al superamento dell’utilizzo degli animali. Questa è la finalità, ma mancano le indicazioni specifiche su come procedere in tal senso. Sicuramente è stato fatto un grande passo avanti ma dobbiamo adesso proseguire con decisione. Tutto dovrà essere normato dal Governo in carica o dal prossimo, dopo le elezioni future. Nell’emendamento presentato chiedevo che fosse aggiunto un termine temporale all’uso degli animali per rendere più stringente la delega al Governo. Il limite temporale è necessario per programmare i passi successivi necessari per andare avanti. Se non mettiamo un limite temporale potremmo prolungare questa situazione per decenni. Ormai sappiamo che anche gli psicologi si sono espressi contro il valore educativo degli spettacoli in cui gli animali vengono piegati al volere degli uomini e quindi fare un passo avanti in questo senso è doveroso”.
E doveroso è continuare a lottare contro lo sfruttamento degli animali in ogni campo. A tal proposito LEAL, da sempre in prima fila contro l’uso degli animali nei circhi, ha iniziato una campagna di sensibilizzazione diretta ai Comuni Italiani. La prima città che ha aderito è Napoli che in questi giorni sarà tappezzata da manifesti contro lo sfruttamento degli animali negli spettacoli.
Vi invitiamo a leggere l’articolo → Un NO forte e chiaro da Napoli al circo con animali.
Speriamo che tanti altri Comuni si uniscano a questo cammino di civiltà. Con questa campagna si fa informazione sulle reali condizioni di vita degli animali che trascorrono la loro vita tra spostamenti e attendamenti temporanei, su quali sono i metodi di addestramento che vengono usati e su quelli che sono i diritti a loro negati. Si chiede ai Sindaci che vengano emesse regole più stringenti per l’attendamento dei circhi che esibiscono numeri eseguiti da animali. Per quanto riguarda la legge votata, LEAL si augura che non passino anni prima di mettere mano alle future norme necessarie per il vero e definitivo cambiamento. Dovranno essere prese decisioni riguardo le sistemazioni future per gli animali, e sulla cattiva consuetudine di far riprodurre gli animali che sono poi destinati agli scambi tra circhi. E non solo. Aspettiamo in tempi brevi le prossime decisioni in tal senso e non abbassiamo la guardia ma continueremo a vigilare e comunicare ai nostri sostenitori le decisioni prese.
A proposito del testo che è stato votato ricordiamo che il ministro Franceschini aveva chiesto che si eliminassero completamente gli animali dai circhi, ma le pressioni delle associazioni circensi hanno portato a una revisione del testo che è uscito dal Senato molto alleggerito e così è stato approvato. Gli altri emendamenti migliorativi presentati da Nicchi e Bossa (Mdp), Pannarale e Brignone (Sinistra Italiana-Possibile) sono stati respinti così come quelli peggiorativi presentati da Borghesi (Lega Nord) e Murgia (Fratelli d’Italia). Nessun emendamento è stato presentato da PD, Ap e Forza Italia.
Bruna Monami
Vicepresidente LEAL
Sezione di Arezzo
lealarezzo@gmail.com
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8 Nov, 2017
La petizione contro il maxi allevamento aperta da LEAL è volata e nel giro di poco tempo ha quasi raggiunto 71mila firme consegnate oggi 8 novembre al Sindaco di Finale Emilia Sandro Palazzi, al Sindaco di Bondeno Fabio Bergamini e alla dottoressa Simonetta Poli, Responsabile del Servizio Valutazione, Impatto e Promozione sostenibilità ambientale – Regione Emilia Romagna.
La Società Agricola Allevamenti Cascone vorrebbe insediare sul territorio un nuovo impianto per un enorme allevamento intensivo di pollame (con 85mila polli da ingrasso e 60mila galline) e di suini, che farà posto a 3mila maiali da produzione (da oltre 30 kg) e 900 scrofe. Una fortissima opposizione al progetto è partita sin dall’estate promossa da LEAL Lega Antivivisezionista unitamente all’Osservatorio Civico “Ora tocca a noi” e agli ambientalisti.
LEAL ha poi lanciato una petizione che con 71mila firme (a oggi, ma la raccolta rimane aperta) indica come i cittadini non approvino queste industrie della morte. Gian Marco Prampolini presidente LEAL, ricorda: “Stiamo parlando di un ecomostro, un impianto pensato per un enorme allevamento intensivo che porterà inquinamento, miasmi, svalutazione immobiliare, pessima pubblicità e un inferno per migliaia di animali come documentato da numerose e recenti investigazioni in decine di allevamenti italiani”.
Indiscrezioni fanno trapelare che proprio in questi giorni si sta discutendo la valutazione di impatto ambientale del progetto che se approvato vedrebbe trivellazioni per raggiungere le falde acquifere ad uso allevamento con grandi perplessità in merito al possibile collegamento con gli sciami sismici di questa zona, già fortemente provata dall’ultimo terremoto.
Le responsabili di LEAL Ferrara – Bologna Stefania Corradini e Maria Cristina Testi, responsabile di LEAL Modena, collaborano intensamente. Sottolinea Stefania Corradini: “Questa Regione è già tutta fortemente impattata e degradata dalla presenza di allevamenti intensivi. Riteniamo che un nuovo impianto di questa portata sarebbe una scelta davvero impopolare in un territorio così pesantemente sfruttato da questi insediamenti. Non dimentichiamo che un allevamento di queste proporzioni richiederebbe l’impiego di una quantità esorbitante di risorse idriche e non farebbe che aumentare il già intenso traffico su ruote nella zona. Abbiamo dibattuto anche queste gravi criticità in un convegno che LEAL ha organizzato lo scorso 7 ottobre a Finale Emilia dove relatori esperti, tra i quali l’Onorevole Mirko Busto, ingegnere per l’ambiente e il territorio, hanno esposto i reali pericoli di progetti di questa portata”. Il messaggio lanciato da Maria Cristina testi è chiaro: “Come si può pensare di continuare irresponsabilmente a dare vita a nuovi maxi allevamenti intensivi, al di là di ogni logica di contenimento che ogni Paese civile dovrebbe mettere in atto per politiche più attente alle problematiche ambientali, locali e globali? LEAL Lega Antivivisezionista diffonde uno stile di vita vegan ed è contro ogni forma di allevamento e crudeltà nei confronti di ogni vivente. Invitiamo le istituzioni a non ignorare il fatto che già da anni l’OMS (Organizzazione Mondiale Sanità) e la FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations) hanno espressamente invitato i Governi ad orientarsi verso una drastica riduzione del consumo di carne e derivati, a causa dell’insostenibile impatto ambientale che gli allevamenti hanno sul Pianeta”.
LEAL chiede ufficialmente alle Istituzioni interessate una valutazione attenta e responsabile sulla fattibilità del progetto, tenendo conto di come una cittadinanza già esasperata da esalazioni mefitiche, spargimento di liquami, inquinamento da nitrati e frequenti contaminazioni di falde acquifere non sottoscriverebbe mai il progetto.
→ Petizione NO al maxi allevamento
LEAL sezione Bologna – Ferrara
Stefania Corradini
lealferrara@libero.it
LEAL sezione Modena
Maria Cristina Testi
leal.mo@libero.it
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